Salute / L’appello

Disabilità, l’odissea di una famiglia di Dro: «Nostra figlia è ostaggio della burocrazia»

La piccola, di due anni e mezzo, soffre di una grave disabilità (priva ancora di diagnosi) che ha richiesto da subito cicli di riabilitazione e intensiva e assistenza sanitaria costante. L’iter burocratico per richiedere i necessari appoggi e supporti però sembra non finire mai

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di Giulia Leccese

DRO. Che la disabilità non sia da considerare una condizione o un modo di essere, è ormai un concetto che si dovrebbe poter dare per scontato: a creare la disabilità sono piuttosto gli standard fissati da una società abilista che erige barriere architettoniche e sociali e che - attraverso estenuanti iter burocratici - strattona e mette in stand-by la vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie. «Io lo definisco un cortocircuito», afferma Nunzio Spina, padre di Beatrice.

Beatrice ha due anni e mezzo e una disabilità grave, ancora senza diagnosi, che sin da subito ha richiesto assistenza sanitaria costante e cicli di riabilitazione intensiva. Una routine impegnativa per la piccola e per i suoi genitori e che, a partire dal 2022, coinvolge anche il personale dell'asilo nido del comune di Dro - soprattutto per quanto riguarda il momento dei pasti. Beatrice, infatti, necessita di un sistema posturale che le permette di mangiare in posizione eretta: «Tuttavia, essendo arrivato mesi in ritardo, il sistema posturale è finito subito in cantina, diventato troppo piccolo per mia figlia che - nel tempo trascorso fra la richiesta e la consegna - era oramai cresciuta».

Per tutto il resto dell'anno scolastico la situazione rimane uguale a sé stessa: il personale dell'asilo nido continua comunque ad assistere Beatrice durante i pasti adattandosi come possibile, benché in assenza di un equipaggiamento idoneo. L'arrivo del nuovo anno, però, pone la famiglia Spina di fronte a un ulteriore ostacolo burocratico, l'inizio del vero e proprio cortocircuito: «Con il nuovo protocollo, a Beatrice viene tolta l'alimentazione per bocca, proprio per assenza di posturale».

L'inizio di un'odissea che nel periodo fra ottobre e dicembre porterà Beatrice e la sua famiglia presso l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: un periodo di riabilitazione durato ben cinquanta giorni al termine del quale gli Spina tornano a casa con tanti progressi e un posturale nuovo, richiesto da Roma e finanziato dall'Apss di Trento. «Dopo poco abbiamo però scoperto che quella strumentazione era adatta soltanto all'utilizzo interno, ma non al trasporto - continua il padre di Beatrice - la normativa, tuttavia, prevede che ogni famiglia abbia diritto a un solo sistema posturale e per richiederne un altro dovremmo in ogni caso attendere tra i sei e i sette mesi».

Ecco, dunque, che ad oggi la quotidianità e la crescita di Beatrice sono ancora ostaggio di quel cortocircuito burocratico che, ad esempio, impone alla famiglia Spina di portare ogni giorno all'asilo i dispositivi necessari all'alimentazione via PEG, senza i quali la piccola non può ingerire liquidi: se gli altri bambini trovano a scuola gli strumenti necessari per mangiare, così non è per Beatrice. «Le famiglie coinvolte nella gestione della disabilità già vivono una situazione fuori dall'ordinario: chiediamo almeno le condizioni basilari per una quotidianità ordinaria».

Il fine di Nunzio Spina non vuole di certo essere quello di scatenare una "caccia alle streghe", «quanto piuttosto di avviare una presa di coscienza. Il mio desiderio è portare avanti i diritti di mia figlia e fare in modo che le nostre difficoltà in futuro non diventino anche quelle di qualcun altro. Tutti devono poter andare avanti, correre, senza ganasce ai piedi che ne frenino il cammino».

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