Tribunale / La sentenza

Maso Kneipp distrutto dalle fiamme: per i giudici non fu colpa dei vigili del fuoco

I fatti nel giugno 2013: i pompieri intervenuti spensero le fiamme, ma dodici ore dopo il rogo divampò nuovamente. Per i giudici non vi fu negligenza, ma una mano dolosa

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di Marica Viganò

PIEVE TESINO. I vigili del fuoco erano intervenuti due volte a distanza di circa 12 ore per spegnere le fiamme scoppiate nel maso. I danni furono ingenti, trattandosi di un manufatto in legno e sassi. Passata l'emergenza, i proprietari presentarono ai pompieri volontari e ai permanenti un conto da 237mila euro (cifra parziale rispetto al danno complessivo) contestando loro «l'errore di non avere adottato le cautele necessarie ad impedire un secondo incendio».

Ci sono voluti dieci anni per mettere la parola fine alla vicenda: ai vigili del fuoco non vanno attribuite responsabilità per il secondo rogo. La Cassazione in un'ordinanza di fine dicembre ha rigettato il ricorso dei proprietari del maso.

Doppio allarme in val Malene. Il primo rogo a Maso Kneipp Hof, in Val Malene, nel territorio di Castello Tesino, scoppiò attorno alle 19 del 10 giugno 2013. Le fiamme, partite dalla canna fumaria, avevano distrutto la parte esterna del tetto. I vigili del fuoco volontari, subito giunti sul posto, avevano evitato che l'incendio raggiungesse la mansarda abitata dai titolari dell'agritur, Roberto Kneipp e Katia Branda. L'intervento era durato dalle 19 alle 24 circa, alla presenza anche dei vigili del fuoco permanenti di Trento. Venne utilizzata la termocamera per escludere focolai. I proprietari, nonostante non ci fosse il divieto di rientrare nel maso, preferirono trascorrere la notte da parenti. Il mattino seguente scoppiò un nuovo incendio.

La causa in tribunale. I proprietari del maso hanno citato davanti al tribunale di Trento sia la Provincia (per le responsabilità dei vigili del fuoco permanenti), sia i vigili del fuoco intervenuti, ossia i volontari di Castello Tesino, Pieve Tesino, Samone e Borgo Valsugana; i comandanti sono stati chiamati a risarcire in solido parte dei danni. Secondo i proprietari, i pompieri non avrebbero verificato che il materiale da loro asportato dal sottotetto (per lo più si trattava di scatoloni) fosse infiammabile, né avrebbero sconsigliato di riportarlo all'interno.

Da parte loro i vigili del fuoco si sono difesi sostenendo non solo di non avere colpa, ma anche ipotizzando una probabile origine dolosa del secondo (distruttivo) incendio.

Il tribunale ha disposto una consulenza tecnica e sentito i testimoni: nessuna origine dolosa - è stato evidenziato in sentenza - ma il secondo rogo era da attribuire da una «mancata verifica da parte dei vigili del fuoco» del materiale asportato dal sottotetto (cartone, quindi infiammabile) e poi ricollocato nello stesso posto dai proprietari.

L'Appello "salva" i pompieri. La Corte d'appello ha riformato la decisione di primo grado: è stato ritenuto che il consulente tecnico avesse formulato solo una ipotesi - relativa al materiale nel sottotetto - che «non consente un giudizio di probabilità sufficiente circa la causa del danno». L'incendio, secondo il ragionamento dei giudici, andava attribuito al legno del sottotetto ed è stato imprevedibile (la termocamera aveva dato esito negativo). Dunque i pompieri non avrebbero avuto alcuna responsabilità.

L'origine del rogo. Per la Cassazione, che ha rigettato il ricorso dei proprietari, lo stesso consulente tecnico ha escluso che si potessero conoscere con certezza le cause dell'incendio, dato che la perizia è stata effettuata dopo diverso tempo. Gli Ermellini ricordano il ragionamento dei giudici dell'Appello: le scatole, se attinte da focolai, si sarebbero infiammate subito e non dopo diverso tempo, e l'incendio del sottotetto era imprevedibile.

 

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