Istruzione / L’intervista

Al Liceo Rosmini i docenti si reclutano in Rete: non si trovano più insegnanti, così ci si affida ai social

Il dirigente Paolo Pendenza: «Abbiamo già utilizzato tutti i canali istituzionali scorrendo le graduatorie ma nessun giovane si è messo a disposizione per le materie richieste. Il problema è la crisi della professione, un mestiere che i neolaureati scelgono se non trovano di meglio»

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di Laura Modena

ROVERETO. «Supplente di matematica cercasi», si legge sull'annuncio comparso sulla pagina Facebook del liceo Rosmini qualche giorno fa: «Il liceo è alla ricerca di un laureato in matematica o fisica per una supplenza di matematica al liceo linguistico. Gli interessati devono inviare la domanda di "messa a disposizione" con curriculum allegato a segreteria.docenti@liceorosmini.eu».

Già da qualche anno il liceo si trova a fronteggiare la carenza di docenti, soprattutto per le materie tecniche e scientifiche. Una difficoltà di reclutamento dei professori alla quale il dirigente Paolo Pendenza risponde percorrendo anche vie non strettamente istituzionali, come i canali social.

Preside, i social aiutano a trovare docenti?
«Abbiamo già utilizzato tutti i canali istituzionali, scorrendo le graduatorie e le "messe a disposizione". Ancora nessun risultato perché i pochi giovani laureati disponibili lavorano già. Ma qualche anno fa riuscimmo a trovare un supplente di scienze proprio grazie a Facebook».

Quali sono le ragioni della carenza di insegnanti?
«Il problema di fondo è la crisi della professione. Un mestiere che i giovani tendono a non scegliere nel momento in cui trovano alternative interessanti. Il rischio è che venga scelto l'insegnamento non per una reale motivazione ma quando mancano altre possibilità. Non è un presupposto positivo per svolgere in modo efficace il mestiere. Detto questo, ci sono anche giovani preparati e appassionati ma sono pochi».

E le scelte politiche?
«Trovare il modo per rendere la professione docente più accattivante dovrebbe essere una priorità della nuova legislatura».

In che modo?
«Valorizzando i docenti più capaci. Quelli che si impegnano, sperimentano e si aggiornano, rispetto agli insegnanti che in modo un po' stanco ripetono le stesse lezioni di anno in anno. È quello che tentò di fare l'assessore Bisesti con il disegno di legge sulla carriera della scuola».

Anche la retribuzione ha il suo peso, non crede?
«L'aspetto della retribuzione e il rispetto sociale della professione sono temi da affrontare ma superando l'idea che i docenti siano tutti uguali. Con un aumento indistinto di retribuzione non ci sarebbe differenza. Va trovato un modo condiviso per distinguere, così anche gli aumenti di retribuzione potranno essere selettivi e la professione più attrattiva. Non si può solo pensare a fare più concorsi per avere meno precari quando mancano i giovani che partecipano».

La formazione dei docenti è quindi fondamentale?
«Siamo in un sistema in cui quello che si percepisce è che non serva una specializzazione per insegnare. Si pensa che chiunque possa entrare in classe, senza una formazione significativa. Come se bastasse il titolo di studio, ma è quanto di più lontano dalla realtà. Per avere a che fare con gli studenti che cambiano di anno in anno e con una società che ha richieste sempre più importanti, è necessaria una professionalità che va acquisita».

Come?
«Bisogna studiare le metodologie didattiche, approfondire la dimensione relazionale e le modalità di inclusione, le tecniche specifiche di insegnamento. Senza tutto questo il rischio è una didattica poco efficace, che porta gli studenti a esiti non positivi e gli insegnanti a vivere la frustrazione».

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