Geologia / La storia

Luca Gandolfo, esploratore in Colombia alla ricerca della bellezza che cela il mondo

Il 35enne di Terres è giunto sull’altopiano carsico de El Penòn: «Gli esiti superiori alle aspettative, abbiamo intercettato un sistema di gallerie gigantesche, intervallato da grandi pozzi. Esperienze di questo tipo sono uniche, siamo dei privilegiati che arrivano dove nessuno è mai arrivato prima»

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di Fabrizio Brida

TERRES. L'emozione di essere tra i primi a mettere piede in angoli inaccessibili della terra, ai confini del mondo. Luoghi capaci di togliere il fiato, luoghi sconosciuti che meritano di essere svelati, visitati, capiti. Luca Gandolfo, classe 1988 di Terres, di professione geologo, è rientrato in Italia il 9 dicembre dopo una spedizione esplorativa di due settimane vissuta con "La Venta Esplorazioni Geografiche" sull'altopiano carsico de El Penòn, nel dipartimento di Santander, nel cuore della Colombia.

«Un luogo incredibile a 2.600 metri di quota - racconta - dove il verde è il colore in assoluto dominante, dai piccoli pascoli strappati dai campesinòs alla foresta, alla vegetazione quasi impenetrabile dei tratti di giungla». L'idea di questa spedizione è nata dopo l'invito, arrivato circa un anno fa, da parte di un amico di base in Svizzera ma che da parecchi anni sta esplorando queste zone ancora sconosciute della Colombia. A marzo, tra le pareti del Canyon del Rio La Venta in Messico, l'occasione di parlarne ancora e da quel momento è scattata la scintilla.

Per Luca Gandolfo un bel debutto da capo spedizione. «Dopo svariate esperienze internazionali tra Sud America e Asia, era la prima volta per me da responsabile. Ma è stata la prima volta anche per l'associazione "La Venta" sull'altopiano de El Penòn: un'avventura che si è svolta in collaborazione con la Federazione Speleologica Colombiana "EspeleoCol" e alla quale ha partecipato anche il professor Carlos A. Lasso dell'Istituto Humboldt di Bogotà, biologo tra i maggiori esperti mondiali di ecosistemi legati ai fiumi sotterranei».

Quali erano gli obiettivi della spedizione?

«In primis iniziare a conoscere il territorio per capirne il potenziale esplorativo, ma anche allacciare contatti con i locali, elemento fondamentale in tutti i progetti esplorativi di La Venta per far comprendere l'importanza della conoscenza del proprio territorio e della conservazione del mondo sotterraneo, custode delle acque che si infiltrano in superficie per poi sgorgare dalle sorgenti poste a decine di chilometri di distanza. E infine esplorare, mappare e documentare con foto e video le grotte identificate, cercando di scoprire le principali vie che l'acqua percorre nel sottosuolo».

Quali sono i risultati più importanti che avete raggiunto?

«Dal punto di vista esplorativo gli esiti sono stati superiori alle aspettative, abbiamo intercettato un sistema di gallerie gigantesche, intervallato da grandi pozzi che si aprono nella giungla: un paradiso per gli esploratori. Dopo tre giorni di duro lavoro in parete e oltre 100 metri di calata, è stato raggiunto anche un enorme portale scoperto grazie all'ausilio dei droni. Non siamo però riusciti a completare l'esplorazione e la documentazione a causa della mancanza di tempo».

Ci sono stati anche dei momenti di difficoltà?

«In contesti così distanti da noi, sia fisicamente sia dal nostro modo di vivere, gli imprevisti sono dietro l'angolo. Bisogna sapersi adattare e farsi trovare pronti a qualsiasi evenienza. Fortunatamente la spedizione si è svolta nel miglior modo possibile. Le difficoltà principali sono state di natura ambientale: la grande escursione termica tra giorno e notte (dai 7°C notturni ai 30°C sotto il sole), il fango, i lunghi avvicinamenti a piedi, il doversi aprire la traccia nella giungla a colpi di machete e infine la roccia particolarmente "marcia" nella parte iniziale delle grotte da attrezzare con corde e ancoraggi. Speriamo di aver posto le basi per un nuovo progetto che possa dare in futuro le soddisfazioni che hanno riservato i progetti più longevi dell'associazione come in Messico e nelle Filippine».

Cosa si porta via da questo "viaggio"?

«Esperienze di questo tipo sono uniche, siamo dei privilegiati che arrivano dove nessuno è mai stato prima. L'insieme di sensazioni, panorami, legami che si creano in avventure di questo tipo sono le cose belle che restano impresse e fanno passare in secondo piano le fatiche organizzative e gestionali».

Ha in programma altre spedizioni di questo tipo?

«La mia prima spedizione è stata nel 2009 in Messico, sono passati ormai parecchi anni ma la voglia è sempre tanta e sicuramente nel 2024 ci sarà qualcosa, magari di nuovo in Colombia per continuare quanto iniziato adesso. Il mondo sotterraneo, insieme allo spazio, è l'ultima frontiera dell'esplorazione sul nostro pianeta e il fatto di poter scoprire e illuminare con i nostri caschi luoghi in cui nessun essere umano ha mai messo piede è una sensazione incredibile e difficile da descrivere».

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