Il giallo / Celledizzo

Massimiliano Lucietti, una tragedia ancora senza risposte: mistero sull’arma che ha sparato

Un anno fa a Celledizzo la morte del giovane MaxLuce (nella foto) e il gesto estremo di Gionta. Le analisi presso i laboratori del Ris non si sono ancora concluse: è forse l’ultima chance per trovare la corrispondenza perfetta fra la parte del proiettile recuperata nel luogo in cui venne trovato Lucietti e l’arma che sparò

IL DRAMMA Cacciatore di 24 anni trovato morto in val di Sole
DOLORE Celledizzo, il doppio dramma di una comunità

di Marica Viganò

CELLEDIZZO. Nel silenzio del bosco, appena passata l’alba, lo sparò risuonò e venne avvertito anche in paese. Erano le 7 e un quarto del mattino. Poco dopo nelle strette strade di Celledizzo, frazione di Peio, risuonarono le sirene dei vigili del fuoco volontari, seguiti dai mezzi dei soccorsi sanitari. Accadde esattamente un anno fa: Massimiliano Lucietti, 24 anni, per tutti Max Luce, venne trovato ferito ed in condizioni disperate nel bosco in località Corè. Una pallottola lo colpì alla nuca, probabilmente mentre era appostato a terra. Accanto a lui il suo Winchester. Morì poco dopo l’arrivo dei soccorritori. La procura di Trento aprì un fascicolo per omicidio colposo a carico di ignoti.

Chi era Max Luce, morto a 24 anni.

Vigile del fuoco volontario, dipendente delle ditta Fucine Film di Ossana, Max era giovane ben voluto da tutti e si spendeva per la sua comunità. Dal 31 ottobre 2022 mamma Mirta, papà Roberto e il fratello minore Mattia non si danno pace, e non solo perché non potranno mai più riabbracciare Max, sentire la sua voce, parlargli.

C’è una domanda a cui non è stata ancora data una risposta: da che fucile è partito il colpo che ha ucciso il giovane? Uno sparo accidentale, un incidente di caccia, nulla di volontario dunque, ma il punto è che Massimiliano Lucetti non c’è più. La famiglia, assistita dall’avvocato Giuliano Valer, preferisce il silenzio al clamore delle dichiarazioni. Ma quell’incidente nel bosco ha fatto anche una seconda vittima.

Il gesto estremo di Gionta.

Nella piccola comunità di Celledizzo c’è un’altra famiglia che sta vivendo il lutto: sono la moglie ed i figli di Maurizio Gionta, il cacciatore 59enne che in quella drammatica mattina di un anno fa si trovava a caccia nella stessa zona di Corè. Vedendo Max riverso a terra, fu il primo a dare l’allarme e a chiamare i soccorsi. I carabinieri lo convocarono in caserma, dove venne sottoposto all’esame dello stub, ossia il tampone che determina i residui da sparo presenti sulle persone e sugli indumenti e in quale percentuale. Il suo fucile venne sequestrato. Gionta la mattina seguente si tolse la vita, lasciando un biglietto: «Non attribuitemi colpe che non ho» era il senso del suo scritto.

«È questo per noi un momento di particolare sofferenza, che ci fa sentire vicini alla famiglia di Massimiliano - evidenzia Michele Gionta, figlio di Maurizio - Per noi questa vicenda è un tormento perché siamo sempre stati convinti che il papà non c’entra nulla con la morte del giovane».

Maurizio Gionta non era indagato, ma venne assalito da un’angoscia profonda dopo aver passato diverse ore in caserma: la sera prima del suo gesto estremo lo disse ai suoi familiari e contattò anche l’avvocato Andrea de Bertolini (che assiste la famiglia) spiegando che non aveva sparato e che temeva che i sospetti si concentrassero su di lui. A scagionarlo dalle responsabilità arrivarono settimane dopo i risultati dello stub: esito negativo sia sulla persona che sugli indumenti, come hanno evidenziato nella relazione i carabinieri del Ris.

Le indagini: l’ogiva deteriorata.

Le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo provinciale di Trento e del Ris di Parma sono partite dal luogo del ritrovamento di Lucietti. Sul suo corpo venne trovato un bossolo, che risultava provenire dal suo fucile Winchester 300. Gli investigatori recuperarono l’ogiva che penetrò nel corpo della vittima, deteriorandosi. Su questo reperto gli esperti del Ris cercarono di ridurre manualmente le deformazioni per incrementare la superficie visibile e quindi permettere le analisi balistiche. Venne accertato che il colpo era compatibile con un fucile 270 Winchester, come quello di Gionta. Ma, come emerso dallo stub, l’uomo non sparò.

Maxi sequestro di fucili.

Il lavoro del Ris di Parma sul caso Celledizzo non si è fermato neppure un giorno. Gli accertamenti sulla balistica sono complessi, effettuati con sistemi investigativi avanzati che però richiedono numerose prove e una precisione certosina per stabilire da quale arma sia partito il proiettile che ha colpito mortalmente Massimiliano Lucietti. Sempre che il fucile in questione nel frattempo non sia stato fatto sparire dal responsabile.

Lo stesso giorno della scomparsa del giovane venne sequestrata l’arma di Gionta. Dopo una paio di settimane i carabinieri acquisirono una ventina di carabine legalmente detenute da cacciatori di Celledizzo e di aree vicine, tutte compatibili con il calibro 270 del colpo che ha ucciso Lucietti. Non furono trovate corrispondenze fra ogiva e armi. Nel luglio scorso i carabinieri prelevarono una decina di fucili di calibro diverso, sempre appartenenti a cacciatori della zona. Le analisi presso i laboratori del Ris non si sono ancora concluse: è forse l’ultima change per trovare la corrispondenza perfetta fra la parte del proiettile recuperata nel luogo in cui venne trovato Lucietti e l’arma che sparò.

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