Salute / La storia

Rossella, l’ictus non visto e la sua battaglia per farsi sentire: “Vorrei una vita dignitosa”

La drammatica storia di Rossella è al centro di un procedimento penale, che dovrà stabilire se vi siano responsabilità per quanto successo. La procura ha chiuso l'indagine e sono rimaste cinque (erano 13) le persone indagate per lesioni personali colpose gravissime

IL CASO Muore di peritonite, chiesti i danni

di Flavia Pedrini

CLES. Superate le tre rampe di scale, la prima immagine che cattura lo sguardo quando si varca la soglia dell'appartamento è quella del viso di Rossella, incorniciato in un sorriso bellissimo. Un sorriso contagioso, che fa quasi dimenticare la sedia a rotelle su cui è seduta, divenuta suo malgrado compagna di vita dall'estate del 2020, quando per un ictus non visto - la vicenda è al centro di un procedimento penale - ha rischiato di morire.

«Ci parlarono di donazione di organi», ricordano mamma Simonetta Tondon e il papà Maurizio Tomasella, che hanno rivoluzionato la loro vita e quella della famiglia - Rossella ha due fratelli, Cecilia e Michelangelo - per stare accanto alla ragazza, oggi 25enne.

«Sentivo la loro presenza, li vedevo come angeli in sogno quando ero in coma», racconta lei. Con fatica e forza di volontà, Rossella ha riconquistato pezzetti di vita, si è riappropriata di gesti un tempo normali, ma che parevano montagne insormontabili, come muovere la mani, mangiare o parlare. Un percorso lungo, fatto di terapie e ricoveri: prima al Santa Chiara, poi a Villa Rosa, a Pergine, dove è rimasta dal 25 settembre 2020 al 18 giugno 2021. Per starle accanto la mamma ha preso un appartamento in affitto a Zivignago, il papà è rimasto in val di Non con gli altri due figli.

«Io - ci - sono», scandisce Rossella. Escono lente, le parole, ma potenti. «Vorrei una vita dignitosa, con il minimo indispensabile. Non dico tornare come prima, ma almeno poter uscire e avere un vita sociale. Mi parlano con accondiscendenza, come se non ci fossi. Ma l'unica cosa buona che mi è rimasta è la testa», dice con ironia.

Nel settembre 2020 Rossella avrebbe dovuto partire per Manchester, frequentare l'università ed insegnare italiano (era iscritta alla scuola per interpreti a Trieste). La sue giornate, invece, ora si svolgono tra le mura di casa. L'unico orizzonte è quello che vede dal balcone. L'appartamento a Cles, in affitto, è senza ascensore. Dopo una lunghissima trafila burocratica, è arrivato un montascale cingolato a scoiattolo. «Ma per lei è una tortura, perché quelle sollecitazioni le causano vomito e nausea», spiega la mamma.

E così, anche l'invito a uscire con un'amica per una pizza, cade nel vuoto: «Cosa facciamo? Esce di casa alle 17, così forse per ora di cena smette di vomitare?», chiede Simonetta. «Adesso dovrebbe fare fisioterapia a Villa Rosa, tre giorni in settimana - aggiunge il papà - Ma non possiamo andare avanti e indietro e ci dicono che il ricovero non è possibile».

Come hanno fatto in passato, quando il ciclo di fisioterapia si era bloccato, i genitori di Rossella si sono rivolti alle istituzioni: dagli assessori provinciali alla Comunità di valle. «A gennaio 2022 Rossella avrebbe dovuto fare la terapia riabilitativa, subito dopo le inoculazioni di tossina botulinica, invece non è stato così ed è peggiorata», ricorda la mamma. Ora dovrebbe ripetere il trattamento.

I genitori hanno incontrato le assessore Stefania Segnana e Giulia Zanotelli e il direttore generale dell'Azienda sanitaria, Antonio Ferro. «Ho scritto anche a Fugatti - dice Maurizio - Non chiediamo una casa gratis, non chiediamo corsie preferenziali, ma che le istituzioni ci ascoltino», sottolineano i genitori, che - nell'unità della loro famiglia - hanno trovato la forza di affrontare questa vicenda. Un fardello pesante, dal punto di visto emotivo, ma anche economico.

Qualcosa in questi giorni si è mosso: è stato individuato un fisiatra in zona e l'Azienda sanitaria ha assicurato la tempestività del trattamento e aperto alla possibilità di un ricovero a Villa Rosa per eseguire le terapie, ma solo in assenza di liste d'attesa «di pazienti gravi acuti». «Siamo stufi - dicono i genitori - Possibile che ogni volta si debba alzare la voce per ottenere qualcosa? Come fanno le persone sole, alle prese la disabilità, a farsi ascoltare? Chiediamo solo un aiuto per il futuro di nostra figlia».

Rossella, nonostante tutto, sorride. «Io vorrei solo tranquillità». Sogna una stanza per sé e una casa che non sia una prigione.

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