Via i soldi dalla Rurale se arrivano i profughi Don Walter Rizzi: «Mi vergogno del rifiuto di Cloz»

Don Walter Rizzi scrive all'Adige per protestare contro chi ha fatto saltare il progetto della Cassa Rurale Novella e Alta Anaunia: già era stato raggiunto l’accordo tra cooperativa di credito e Provincia per ospitare dei profughi nell’ex convento dei frati di Arsio, che fino a pochi mesi fa aveva ospitato gli alunni delle scuole elementari di Cloz e Brez, in attesa della ristrutturazione del plesso titolare. Un enorme edificio, già scuola superiore, oltre che convento, dotato di stanze, servizi, mensa e quant’altro; ma tra le comunità di Cloz e Brez era stata avviata una raccolta di firme, con la minaccia: se arrivano i profughi, chiudiamo i nostri conti correnti alla Cassa Rurale. (I fatti).

Caro de Battaglia, non le ho mai parlato personalmente, ma leggo con interesse i suoi articoli perché si vede che cammina e vive nella storia. Appartengo ad una famiglia di emigranti, mia madre, la prima di cinque fratelli è nata nel Wyoming, dove c'erano le miniere di carbone. Ad Ellis Island, dove sbarcavano gli emigranti, si trova scritto: Alberto Rizzi, Cloz, Austria, all'età di 19 anni è partito per gli Usa ed è arrivato a New York dopo 40 giorni. Attualmente ho un solo parente in Europa, un fratello che è stato bidello alle Bresadola, gli altri sono negli Stati Uniti.
Credo non ci sia paese dove siano nate tante vocazioni come a Cloz, per l'Istituto dei Padri Scalabrini che hanno il carisma di seguire gli emigranti. Un giorno mi sono trovato a New York in casa di una mia zia (moglie di un fratello di mia madre) con ben quattro Padri Scalabrini nativi di Cloz.

Cloz è un paese dove è stata messa la prima pietra per la nuova chiesa (definita da papa Pio XII «chiesa del miracolo») il 10 giugno 1940, giorno nel quale fu dichiarata la guerra.. È sorta con l'apporto generoso, con lavoro manuale e contributo economico di tutta la popolazione. Fu consacrata nel luglio del 1942 dal vescovo monsignor Carlo de Ferrari. Dopo la guerra accadde la stessa cosa a Brez per la costruzione della nuova chiesa. 

Conosco l'ex convento dei frati conventuali ad Arsio. Il paese è abitato da pochissime persone: non c'è negozio alimentare né bar. La raccolta di firme e il ricatto verso la cassa rurale mi hanno ferito profondamente perché appartengo a una famiglia fatta tutta di emigranti. La casa di Cloz, strutturata per il lavoro di contadini è stata trasformata in 5 appartamenti abitati da cinque famiglie di rumeni che, a quanto mi si dice, lavorano e sono onesti. Mi scuso per il troppo tempo che ho tolto ai lettori e porgo a tutti gli auguri di un Buon Natale.

don Walter Rizzi

La minaccia di ritirare i risparmi dalla Cassa rurale come ritorsione per l'ospitalità data a famiglie emigrate in un edificio della Cassa stessa, è stata sentita da più parti non solo come una mancanza di solidarietà, ma come una ferita al Trentino intero e alla storia stessa di quel paese ricco di identità. Tanto che in molti si sono chiesti se dietro l'episodio non vi sia qualche altro risvolto, qualche rivalità che forse non riguarda direttamente gli immigrati. 

Le ragioni le spiega questa bella lettera di don Rizzi che è di per sé un compendio di storia trentina, con radici e affetti che abbracciano due mondi, fortissima capacità di lavoro e un'altrettanto profonda fiducia nel futuro. La «chiesa del miracolo» come la chiamò Pio XII è un po' il simbolo di tutto questo, della capacità di dedicarsi a un grande progetto anche quando le bufere della storia potrebbero suggerire di chiudersi in difesa.

«La chiesa del miracolo» è anche il titolo di un piccolo libro di ricordi che sulla costruzione della chiesa scrisse nel 1990 don Guido Bortolameotti, promotore dell'iniziativa quando era parroco di Cloz, poi vicario generale della diocesi con gli arcivescovi De Ferrari e Gottardi. Un grande sacerdote trentino don Guido, la cui figura meriterebbe un ritorno di attenzione e di studi, non solo per ciò che egli seppe realizzare, ma per il carattere pratico, rigido anche, ma al tempo stesso ricco di fede e di misericordia (il termine allora non era così frequente) che lo sorreggeva. A Cloz Bortolameotti non ebbe paura di porre la prima pietra nei giorni in cui l'Italia entrava in guerra, come una speranza di futuro, mentre i giovani venivano chiamati alle armi e mancavano materiali e mezzi per costruire la chiesa. Ma ogni difficoltà venne superata senza contributi pubblici, con forze e risparmi delle famiglie. Occorre non dimenticare questi coinvolgimenti: le chiese dei paesi trentini non sono solo luoghi di culto e di preghiera, ma quasi un «patto» fra cielo e terra, atti di fede nel futuro, momenti di identità ritrovata proprio a fronte delle dispersioni della vita e delle migrazioni dei fratelli.

Conservo come un dono caro il libretto sulla «chiesa del miracolo» con la dedica di don Guido: «Perché ti aiuti a crescere nella fede della Provvidenza». È una dedica che oggi, in questo momento, può forse essere estesa a tutto il Trentino, a quanti hanno paura del futuro, non lo capiscono, lo sentono nemico. Bortolameotti non amava la retorica, neppure quella religiosa, ma non temeva di chiamarla con il suo nome, come il Manzoni, «la Provvidenza». È l'invito ad andare avanti con i propri valori, facendo il proprio dovere.

Cloz e don Bortolameotti sono legati anche a un altro episodio: al rifugio che per 18 mesi trovò nella canonica un ebreo fuggito da Bolzano che evitò così il campo di sterminio. Il rischio era altissimo. Per questo don Guido venne insignito nel 1983 della Medaglia dei Giusti d'Israele e salì a Cloz il console Reuven Ben-Elizer per consegnargliela. Sono pagine «trentine» che non vanno dimenticate.

fdebattaglia@katamail.com

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