Otto marzo / Memoria

L'Anpi ricorda le donne deportate dai nazisti al lager di Bolzano: c'erano anche madri e figlie arrestate in Trentino

L'associazione partigiani ha reso omaggio alle oltre 700 donne deportate in via Resia tra il 1944 e il 1945: un'iniziativa dedicata a tutte le donne vittime delle guerre, delle violenze e delle discriminazioni, dall'Ucraina all'Afghanistan

TRENTINI I deportati nei campo di concentramenti in Alto Adige
VITTIME Ora e Veglia, due ragazze del Tesino uccise dai nazisti
LA STORIA Alpenvorland le Dolomiti in mano ai nazisti
DEPORTATI Al lager di Bolzano erano in gran parte oppositori politici

BOLZANO. Presso l'installazione commemorativa davanti al Muro del lager di Bolzano, una delegazione di Anpi Alto Adige Südtirol, ha ricordato oggi, in occasione della Giornata internazionale della donna, le oltre 700 donne deportate nel lager di via Resia.

Fra le donne deportate c'erano anche trentine, in genere arrestate dai nazisti in sostituzione dei famigliari maschi renitenti al lavoro forzato o all'arruolamento.

L'iniziativa, spiega una nota, è stata "dedicata alle donne vittime delle guerre, delle violenze e delle discriminazioni nel mondo a partire dalle donne Ucraine, ma senza dimenticare le donne afghane e tutte coloro che subiscono la violenza delle oltre 30 guerre in corso nel mondo" e si è svolta "nel segno del valori fondanti di pace e libertà che le donne deportate seppero portare avanti contro i loro oppressori costituendo un Comitato di resistenza clandestino".

"Fondamentale il ruolo delle donne nella Resistenza, fondamentale, nonostante fossero solo 21, il ruolo delle Madri della Costituzione e fondamentale, ieri, oggi, domani la lotta contro violenza e discriminazioni di genere per affermare la libertà di tutte le donne", conclude Anpi.

Furono 159 i trentini antinazisti internati nel lager di Bolzano tra il 1944 ed il 1945.

Non tutti tornarono a casa, fra i morti in campo di concentramento (a Mauthausen, in Austria) anche don Narciso Sordo (nella foto), arrestato in Tesino perché considerato simpatizzante del piccolo gruppo di partigiani che operava in zona, al confine orientale trentino, in un battaglio della brigata garibaldina bellunese "Gramsci".

E mille deportati al lager di via Resia o nei vari sottocampi erano stati invece cittadini della vicina provincia di Belluno: circa il 10% del totale.

In questa fase storica il Trentino, insieme alle altre due province dolomitiche di Bolzano e Belluno, rimase escluso dalla repubblica Sociale (guidata da Mussolini su mandato tedesco) e fu inglobato da Hitler in una speciale area amministrativa affidata al controllo dei gerarchi nazisti del Tirolo.

Si chiamava Zona di operazioni delle Prealpi (Operationszone Alpenvorland) e aveva sostanzialmente il duplice scopo di assecondare le mire espansionistiche verso sud dei nazisti tirolesi e di creare una fascia cuscinetto che avrebbe potuto costituire un corridoio per le operazioni belliche del Reich (compresa l'eventuale ritirata, come poi avvenne nella primavera 1945).

La repressione nella provincia di Belluno, dove si concentrava una forte azione partigiana, fu crudele e diffusa, con stragi, impiccagioni, incendi di paesi. Azioni naziste cui parteciparono anche milizia arruolate in Alto Adige (e solo in parte quelle trentine), in particolare il famigerato Secondo battaglione del Polizeiregiment "Bozen".

Le testimonianze dei deportati politici sopravvissuti al lager di Bolzano sono drammatiche: si parla delle forme più violente di tortura, anche sulle donne, compreso l'uso dele scosse elettriche sui corpi, per ottenere informazioni riguardanti il movimento della resistenza sulle Dolomiti.

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