Nonesi e solandri nel lager di Bolzano

di Federica Chini

159 trentini, di cui 33 tra nonesi e solandri, vennero internati nel lager di Bolzano a cavallo tra il 1944 ed il 1945.

La loro vicenda è narrata in un volume curato dal Laboratorio di storia di Rovereto, «Il popolo numerato. Civili trentini nel lager di Bolzano», presentato sabato nella sala baronale di Palazzo Assessorile, in presenza di un folto pubblico, tra cui parenti e conoscenti di coloro che vissero questa drammatica esperienza, ma anche bambini e ragazzi. L’iniziativa, promossa dall’assessorato alla cultura comunale, ha fatto parte degli eventi nel contesto della Giornata della Memoria, accanto allo spettacolo teatrale «Che la tempesta cominci» - incentrato sul ruolo della propaganda nazista, che annebbiò le menti del popolo tedesco fino a farlo diventare un silenzioso complice delle atrocità - in programma domani alle 20 e 30 nella biblioteca comunale.

L’assessore alla cultura Vito Apuzzo, ad inizio conferenza, si è rivolto al pubblico più giovane. «Studiate, approfondite ed informatevi, perché spetta a voi portare avanti la memoria di questa pagina buia della storia in futuro, ci sono ancora delle risposte da dare» ha affermato l’assessore.
La parola è poi passata a due membri del gruppo di ricerca che ha curato l’opera, Giovanni Tomazzoni ed Armando Luzzi, il primo cugino di un uomo che si occupò dei prigionieri del lager, assistendoli ed organizzando piani di fuga. Il gruppo ha curato altri due lavori, «Internati Militari Italiani» e «Almeno i nomi», quest’ultimo dedicato ai trentini deportati nei campi di concentramento d’Oltralpe.

«Il popolo numerato» è il risultato di un lungo e complesso lavoro alla ricerca di notizie sugli internati, soprattutto intervistando i loro famigliari. Il lager di Bolzano, come hanno spiegato Tomazzoni e Luzzi, è stato attivato nel contesto dell’occupazione nazista delle province di Trento, Bolzano e Belluno, come «Durchgangslager», ossia un campo di transito verso quelli del Reich - Auschwitz compreso - in sostituzione del campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Carpi. Tra le guardie, oltre al famigerato Mischa Seifert, «il boia di Bolzano», anche un uomo originario di Castelfondo, Albino Cologna, un uomo tristemente noto per la sua spietatezza secondo numerose testimonianze. In totale sono passati per il lager 11.000 persone, di cui 4.000 poi proseguiti nei campi all’estero; chi vi entrava, oltre alla prigionia, era destinato ai lavori forzati.

Chi erano i prigionieri? Antifascisti, partigiani, oppositori con e senza armi, ostaggi, rastrellati, uomini più o meno noti - tra cui anche il futuro Mike Bongiorno -, fascisti e 206 ebrei, questi ultimi poi deportati in Germania. Un caso particolare sono i cosiddetti «ostaggi», ossia tutte quelle persone che i tedeschi precettavano in sostituzione dei famigliari renitenti alla durezza del lavoro forzato, applicando un’antica pratica di origine barbarica secondo la quale la responsabilità di un fatto viene condivisa dai congiunti. Emblematico in tal senso è il caso della famiglia Lorenzoni di Cles composta dal padre Giuseppe, dalla mamma Celestina e dai figli Luigia Libera, Costante, Celestino, Luigia (Gina), Mario, Gabriella e Carlo. Ai primi di ottobre del 1944, i tedeschi vogliono arrestare il capofamiglia, al posto del figlio Costante, renitente al lavoro. La figlia Luigia Libera si offre di sostituire il padre, la quale rimarrà nel campo per una decina di giorni, fino a quando il fratello Celestino si propone per ottenere la liberazione della sorella. Come loro, nelle Valli di Non e Sole, 4 madri e 2 padri internati al posto dei figli, 5 sorelle e 4 fratelli al posto di altri fratelli, a cui vanno aggiunti 18 tra partigiani e renitenti.

Presente in sala sabato, anche Pio Taller, classe 1927, prima renitente al lavoro coatto al Ponte dei Vodi e poi internato a 17 anni, dopo essersi presentato in caserma a Cles per liberare il padre Edoardo, fatto prigioniero in sua vece. Al termine della presentazione, i curatori hanno ringraziato sentitamente le famiglie degli internati per la preziosa collaborazione.

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