Belluno, in piazza contro nuove centrali idroelettriche sul Piave

di Zenone Sovilla

Da molti anni a Belluno un capillare movimento civico si batte per fermare il dilagare delal cementificazione dei corsi d'acqua dolomitici a scopo idroelettrico, una criticità di cui negli ultimi tempi diversi soggetti sociali hanno presco coscienza anche in Trentino, dove grazie alle prerogative della Proivincia autonoma il confronto è più diretto.

A Belluno, invece, da lungo tempo le associazioni ma anche varie istituzioni locali, si vedono costrette a un confronto impari con la lontana Venezia e con una Regione Veneto accusata di accogliere con estrema generosità le richieste delle imprese intente a fare business con le dighe incentivate dallo Stato.

Domani e mercoledì è in programma una nuova pagina della mobilitazione popolare (nella foto una manifestazione di un paio d'anni fa), proprio nel capoluogo, per ribadire il no (peraltro formalizzato da tempo anche in consiglio comunale) a un progetto di centrale idroelettrica sul Piave, nel centro della città, sotto lo storico ponte della Vittoria, dove l'azienda sudtirolese Reggelbergbau vorrebbe costruire una diga mobile.

La stessa ditta bolzanina ha depositato domande anche per realizzare altre due centrali a pochi chilometri dalla prima, una a nordest di Belluno, in comune di Ponte Nelle Alpi, e l'altra a sudovest, nel territorio di Limana. Quest'ultima località nel 2015 era stata teatro di una manifestazione che aveva indotto le autorità a rinviare il sopralluogo tecnico in corso.

Ora si ripropone la questione, a quanto pare l'impresa non demorde, malgrado l'opposizione dei cittadini e degli enti locali. Mercoledì 28 giugno è in programma un nuovo soprallugo tecnico, a Belluno e quindi il Comitato acqua bene comune lancia una nuova mobilitazione, a partire da domani sera.

In programma una festa in piazza Duomo, domani sera, seguita martedì mattina da un presidio davanti al vicino municipio (Palazzo Rosso) dove si riuniranno i tecnici: l'appello è del Comitato bellunese acqua bene comune e della campagna Adesso basta centrali.

«A più di un anno e mezzo dal sopralluogo fallito - scrivono i promotori dell'iniziativa - questi predoni dell’acqua hanno deciso di riprovarci. Forse hanno pensato che con il tempo la nostra determinazione e la forza delle nostre ragioni scemassero. Non è così, anzi!

Saremo ancora più determinati! Abbiamo, infatti deciso di organizzare un presidio in Piazza Duomo a Belluno che inizierà la sera prima del sopralluogo e si concluderà soltanto quando questi speculatori se ne saranno andati: sì avete capito bene, ci accamperemo in Piazza.

Questo presidio - proseguono - sarà solo un piccolo assaggio dell’opposizione che troveranno se decideranno di andare avanti con il loro progetto.
Vogliamo essere molto chiari su questo punto: noi non molliamo e non molleremo.

E vogliamo essere altrettanto chiari anche con i politici locali, regionali e i parlamentari bellunesi che continuano a rimpallarsi le responsabilità gli uni con gli altri.

Ognuno, per le sue competenze e suoi poteri, può e deve fare di più.

A partire dagli esponenti del partito democratico, responsabile delle attuali politiche energetiche nazionali che prevedono importanti incentivi al settore del mini-idroelettrico e che sono la prima causa della speculazione sui nostri fiumi.

È tempo di togliere questo denaro pubblico dalle mani della lobby dell’idroelettrico.
È tempo di dire basta alle centrali e alle speculazioni sui nostri fiumi».

Il Comitato bellunese acqua bene comune (cui aderiscono moltissime realtà organizzate del territorio) chiede, in particolare, una moratoria sulle cementificazioni degli alvei per le derivazioni a scopo idrolettrico, che - denuncia il Comitato - hanno un peso irrisorio nel quadro energetico nazionale (per produrre più energia basterebbe migliorare le grandi centrali storiche) ma sono un comodo business privato grazie ai forti incentivi statali (pagati dai cittadini nella bolletta).

Inoltre, spiega ancora il comitato, gli impianti rappresentano una grave criticità ambientale (devastante per l’ecosistema la sommatoria del reticolo di interventi su fiumi e torrenti) ma anche sociale e economica, perché danneggia le attività locali, specie il turismo che vive anche grazie alla floridità di corsi d’acqua e laghi (già prosciugati peraltro dall’utilizzo pesante a scopi irrigui, per la pianura veneta).

Al centro della mobilitazione bellunese c’è una presa d’atto dei danni ambientali e economici prodotti da queste alterazioni dell’ecosistema, in una provincia delicata, quella fra l’altro della catastrofe del Vajont, in cui ormai solo il 10% dei corsi d’acqua è risparmiato dalla cementificazione a scopi idroelettrici (il resto del depauperamento, peralttro, viene dal prelievo irriguo al servizio delle idrovore coltivazioni della pianura veneta).

Sul fronte del conto energetico, si sottolinea, il contributo di questi nuovi impianti iperfinanziati dallo Stato è irrilevante e si otterrebbe molto di più semplicemente rendendo più efficienti le grandi centrali storiche presenti sulle Dolomiti.

Per Belluno, denunciano da anni i comitati, oltre alle briciole del business elettrico che vede lo Stato sovvenzionare generosamente ditte private, ci sono gli effetti negativi sul turismo (per lo svuotamento di fiumi, torrenti e laghi) e più in generale sul patrimonio naturale.

Uno dei fronti caldi e simbolicamente pesanti di questi giorni riguarda appunto i progetti di sfruttamento idroelettrico del fiume Piave da parte della ditta sudtirolese Reggelbergbau, già al centro di una sonora contestazione nel 2015.

La resistenza sta crescendo da anni, forte anche dei successi ottenuti negli anni scorsi, come lo stop, raggiunto con ricorso in Cassazione, al cantiere già aperto in valle del Mis dalla bresciana Valsabbia Spa presieduta da Chicco Testa (ora sul posto resta l’alveo cementificato, mentre si litiga sulla responsabilità del ripristino ambientale).

Sullo sfondo le scelte politiche nazionali in uno scenario critico che riguarda molti territori di montagna. Spesso l'attenzione e la reazione delle opinioni pubbliche sono condizionate e depistate da comunicazioni (anche istituzionali) edulcorate, che presentano l'idroelettrico alla stregua delle fonti rinnovabili di energia (in primis il Sole) tralasciando gli effetti dannosi che questa diffusa cementificazione produce sull'ecosistema fluviale e dunque sull'ambiente naturale più in generale.


UNA NOTA DEL COMITATO BELLUNESE ACQUA BENE COMUNE

Di chi sono le responsabilità?

«Il Governo Nazionale, con una serie di provvedimenti legislativi, ha reso operativa la Direttiva Europea sull’energia del 2008, introducendo altissimi incentivi per l’idroelettrico minore (le “centraline”). Oggi essi all’incirca quadruplicano la remunerazione dell’energia prodotta dai nuovi impianti rispetto al prezzo di mercato. Questa parte della legge appare, fin dalla sua origine, manifestamente sbagliata per l’evidente sproporzione tra i benefici apportati dalla ipotizzata costruzione di oltre 2000 nuovi impianti sull’intero territorio nazionale (un apporto pari a qualche millesimo del fabbisogno energetico nazionale; un insignificante contributo alla riduzione dell’inquinamento e della CO2) e gli svantaggi (ambientali, per gli impatti sugli ecosistemi; sanitari, per la riduzione del potere di autodepurazione dei corsi d’acqua in equilibrio; paesaggistici; economici, per il danno alle attività turistiche locali; e per l’enorme improduttivo esborso di denaro da parte degli utenti del servizio elettrico).

Le valutazioni qui esposte erano del tutto evidenti all’atto della promulgazione della legge. Non si può sostenere che possano essere state ignorate in buona fede dai tecnici estensori del testo. Va sottolineato che l’energia elettrica prodotta dagli impianti idroelettrici di piccola potenza non resta nel territorio che l’ha generata: viene direttamente immessa nella rete nazionale di distribuzione. Oggi la legge è indicata, nelle dichiarazioni pubbliche dei rappresentanti politici del governo nazionale e regionale, come l’origine di tutti i mali. Con i provvedimenti sopra detti il Governo ha ignorato la Direttiva Europea Quadro Acque n. 60 del 2000 (ben precedente a quella sull’energia!), la quale imponeva importanti vincoli a tutela dei corpi idrici.

Si è favorita deliberatamente la più selvaggia speculazione, improduttiva e ambientalmente devastante, alla quale si è dedicata una certa parte della nostra imprenditoria. Si è calcolato che l’esborso di pubblico denaro nell’arco ventennale delle circa 2000 concessioni previste sull’intero territorio nazionale è dell’ordine di alcune decine di miliardi (sic!) di Euro. Altro che Mose, altro che Roma Ladrona! Dichiara il falso chi ci racconta che il sacrificio dei nostri residui torrenti fosse imposto dalla matrigna Europa. Infatti il famoso protocollo di Kyoto imponeva sì un aumento, entro l’anno 2020, del 20% della produzione di energia da fonti rinnovabili, ma non specificava affatto la natura delle fonti stesse. Come già detto, era ampiamente noto che l’idroelettrico residuo italiano avrebbe potuto contribuire soltanto per qualche millesimo al nostro fabbisogno energetico. Non si poteva in alcun modo pretendere che fosse proprio questa fonte a soddisfare gli obbiettivi di Kyoto. Il Governo, indipendentemente dalle alternanze politiche (e ciò fa supporre l’azione indefessa di una lobby inter partes), è doppiamente responsabile: per aver introdotto a suo tempo gli incentivi all’idroelettrico; per non volerli togliere ora, essendo sempre più evidente la speculazione creata a danno dei fiumi e dei consumatori. Eppure il Governo ha potuto, recentemente, ridurre gli incentivi al fotovoltaico.

Da sempre la Regione Veneto ha normato per spianare la strada alla realizzazione degli impianti. Ha atteso dal 2009 al 2016 prima di fare una corretta classificazione dei fiumi, che avrebbe consentito di tutelare gli ambienti più integri e inalterati, valutati invece come se fossero corsi d’acqua qualunque. È, per fare un primo esempio, il caso del Grìsol dove la ditta proponente pretende ora che sia considerato torrente senza particolare valore; ma è anche il caso della Liéra, del Ru Bosco, del Talagóna, della Piave a Sappada e di molti altri corsi d’acqua che alla data della domanda di concessione non avevano ancora avuto, per colpevole inerzia della Regione, la classificazione di integrità. La Regione ha atteso a emanare le misure di tutela fino al 2016, dopo che nella provincia di Belluno erano state presentate domande per 150 impianti ed ha stabilito che le misure di tutela valgono solo per le domande presentate dopo la emanazione della delibera. Se la Regione non avesse messo questa clausola nella delibera, 50 domande per impianti con un bacino inferiore ai 10 km2 sarebbero stati rigettate, invece procedono. Lo stesso era accaduto con la delibera sui siti non idonei, che poteva essere fatta già nel 2010 mentre la Regione ha atteso che venissero presentate centinaia di domande per poi emanarla solo nel 2013, stabilendo che non era valida per le domande già presentate.

Questa strategia ha permesso di continuare a valutare idonei siti che tali non erano e torrenti qualunque anche quelli che la legge europea ed italiana impone di tutelare. Circa cinquanta impianti sono stati autorizzati dalla Regione Veneto senza nemmeno la valutazione di impatto ambientale, grazie a una delibera regionale (la 2834/2009) che esonerava dalla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) tutti gli impianti di potenza inferiore a 1000 Kilowatt, in palese difformità alla normativa nazionale che poneva il limite a 100 Kilowatt.

I Comitati e le Associazioni ambientaliste, trovando ostacoli a ogni passo, hanno dovuto ricorrere alla Commissione Europea per obbligare lo Stato Italiano e la Regione Veneto ad assumersi le loro responsabilità. In conseguenza di ciò è stata aperta una procedura PILOT di pre-infrazione nei confronti dell’Italia e della Regione Veneto. Ora i responsabili regionali e nazionali affermano di aver fatto tutto il possibile per salvare l’ambiente. I cittadini si faranno prendere in giro? È un meschino alibi sostenere che con le recenti disposizioni ora la responsabilità è della Provincia di Belluno, dato che i procedimenti di concessione e autorizzazione sono stati normati ed istruiti dalla Regione Veneto per anni ed arrivano in Provincia dentro a una strada già tracciata.

La Provincia, dal suo canto, assiste in modo passivo e burocratico all’assalto speculativo senza farne una battaglia politica in difesa del valore del suo territorio.

Le considerazioni qui esposte sono all’ordine del giorno sui giornali e in televisione. Molti cittadini hanno finalmente acquisito consapevolezza dell’emergenza che si è venuta a creare. Così pure le Amministrazioni comunali più avvedute: ci si attende che esse facciano sentire senza indugio la loro voce nel CdA di Bim Infrastrutture in ordine alla modifica del piano industriale basato sulla realizzazione di nuove “centraline”.

I politici, ora che l’argomento è caldo, sentono il bisogno di intervenire e, invece di impegnarsi di concerto, ognuno per la propria parte, a salvare i nostri fiumi, si scaricano l’un l’altro le responsabilità. Molte affermazioni messe in campo da Giampaolo Bottacin e Roger De Menech non sono accettabili perché fuorvianti e si traducono in una totale inerzia di fronte al problema. Il Senatore Giovanni Piccoli, uno dei primi fautori della deregulation selvaggia quando era presidente del Consorzio BIM, se ne sta ora prudentemente in silenzio.

Abbiamo qui chiarito alcuni punti, affinché nei cittadini rimanga memoria di chi sono le responsabilità. I nodi, prima o poi, verranno al pettine e i responsabili nazionali, regionali e locali dovranno renderne conto».

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