Cultura / La ricerca

Le terrecotte mantovane di Beatrice Rosa vincono il Premio Canneti: premiato lo studio della giovane ledrense

Con un dottorato all’Università di Trento, ora prosegue nell’approfondimento delle Madonne col bambino in terracotta prodotte nella Firenze del primo ‘400: «Il valore dei beni culturali risiede nell'essere una testimonianza, non solo dell'operato di un artista ma anche di un preciso momento storico»

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di Elena Piva

LEDRO. Il 30 novembre, nella sala degli Arazzi del palazzo vescovile di Mantova, si è svolta la cerimonia di conferimento del premio Fondazione Grand'ufficiale Costantino Canneti, istituito allo scopo di assegnare tre premi ad autori di studi e ricerche in materia di storia mantovana. È stata Beatrice Rosa, ventiseienne di Ledro, a ottenere il primo premio con la tesi di laurea magistrale Terrecotte mantovane del Quattrocento, discussa all'università degli studi Trento.

La premiazione è stata presieduta dal vescovo di Mantova, Marco Busca, dalla direttrice dell'archivio di Stato, Luisa Onesta Tamassia, da don Massimiliano Cenzato dell'archivio diocesano e dalla segretaria del premio Elena Lucca. Conseguito il titolo triennale in Beni culturali (indirizzo storico artistico) presso l'ateneo di Trento nell'ottobre 2019, nel marzo 2022 Beatrice Rosa ha discusso la tesi magistrale in Arte. Vincitrice di una borsa di dottorato in storia dell'arte, la ricercatrice ledrense è ora impegnata nello studio delle Madonne col Bambino in terracotta, prodotte nella Firenze del primo Quattrocento.

Cosa l'ha spinta ad approfondire manufatti artistici mantovani?

«Mi sono occupata d'arte trentina durante la stesura della tesi triennale, con l'avvio del percorso magistrale era giunto il momento di un nuovo percorso. I miei interessi di ricerca si sono così orientati verso la scultura del Rinascimento, in particolare quella in terracotta. Avevo da poco saputo di poter svolgere il tirocinio curricolare al Palazzo ducale di Mantova. In accordo con il mio relatore, ho deciso di dedicarmi della scultura in terracotta mantovana. Il risultato è stato un catalogo di tutte le opere di specie del Quattrocento conservate nei musei, negli edifici liturgici e, più in generale, sul territorio».

Quali fasi d'analisi comporta una ricerca storico-culturale?

«Essenziale è studiare tutto ciò che è stato scritto sull'argomento preso in esame, tanto per valutare a che punto sono gli studi quanto per capire il proprio margine di scoperta. Dopodiché è fondamentale entrare in contatto con le opere. Il tirocinio mi ha permesso di vivere qualche mese a Mantova e di conoscere bene città e provincia. Ricorderò sempre con affetto i lunghi viaggi sulle strade mantovane per osservare le mie terrecotte nelle chiese e nei musei. Il lavoro poi si conclude con la scrittura: la parte più impegnativa ma soddisfacente».

Quali sono dunque le caratteristiche di queste terrecotte?

«Tutte le opere che ho catalogato sono accomunate dal XV secolo e, soprattutto, sono state modellate in argilla: un materiale di cui le terre mantovane sono ricchissime. Si tratta di sculture tendenzialmente volte alla devozione personale; di qualità altalenante ma sempre interessanti dal punto di vista storico-artistico».

Come si è sentita nel ricevere il premio Canneti?

«Avevo presentato la candidatura con basse aspettative, le domande sono numerose e ciò di cui mi occupo è un ramo di nicchia. Ricevuta la comunicazione dell'assegnazione del primo premio ero incredula ma anche orgogliosa di me stessa».

Ha già in programma nuovi approfondimenti?

«Certo, le mie ricerche proseguono e spero proseguiranno nei prossimi anni. Attualmente sono dottoranda all'università di Trento con un progetto sulle Madonne col Bambino in terracotta per la devozione personale prodotte nella Firenze di primo Quattrocento. Continuo quindi a occuparmi di scultura rinascimentale. Anche se il focus è fiorentino, continuerò a ragionare sulle questioni mantovane emerse con la mia tesi; c'è moltissimo lavoro da fare e sono a dir poco entusiasta».

Quale valore racchiude lo studio dei beni culturali, oggi?

«È una domanda complessa. A mio parere il valore dei beni culturali risiede nell'essere una testimonianza, non solo dell'operato di un artista ma anche di un preciso momento storico, del significato o della funzione di quel bene. È innegabile l'utilità sociale del filone di studi, consente di capire le opere e soprattutto il luogo dove viviamo, da dove proveniamo. Io mi occupo di scultura, la maggior parte delle realizzazioni sono state prodotte per scopi devozionali».

«Approfondirle significa comprendere il motivo della loro commissione, il committente e il destinatario. Si ha un'idea precisa della società di 600 anni fa basata anche su tradizioni che, incredibilmente, si mantengono fino ad oggi. Gli oggetti che studio sono ancora nelle chiese o sulle facciate delle abitazioni private poiché aventi una funzione di protezione. Per il loro valore intrinseco, non manca lo stupore di preti e fedeli di fronte al mio studio storico-artistico, come opere d'arte in sé e non solo marcatamente religiose».

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