Montagna / La storia

Marmolada, c'era una volta la Regina di ghiaccio

Quando la montagna, teatro della tragedia del 3 luglio scorso, non era sofferente e rappresentava un luogo di avanguardia per sci e alpinismo. Dai racconti di Gunther Langes del 1935 alla famosa escursione di Dino Buzzati, fino agli allenamenti di quella che poi diventerà la mitica squadra azzurra di campioni di sci alpino

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di Luigi Sardi

TRENTO. Marmolada, la Regina delle Dolomiti, il fantastico Regno dei Fanes e, un tempo, il tempio delle nevi perenni purtroppo da anni ridotto ad una parvenza di ghiacciaio per via di quei profondi cambianti del clima che hanno radici lontane.

Era il 1957, si arrivava in corriera ad Alba di Canazei; di buona lena si raggiungeva Pian Trevisan per fermarsi qualche minuto al rifugio Villa Maria gestito da quell’ Erminio Dezulian che è stato una leggenda dell’alpinismo degli anni Cinquanta.

Per lungo tempo capo del soccorso alpino di quella meravigliosa cornice di montagne, aveva trasformato il rifugio in un campo base per gli alpinisti che affrontavano il Gran Vernel o la parete sud della Marmolada. Imprese tutte straordinarie compiute da scalatori come Bepi Loss, Carlo Marchiodi, Toni Valeruz. Villa Maria era anche la meta di Sandro Pertini che da Presidente della Repubblica quando andava in vacanza in Val Gardena, si recava da Dezulian per farsi raccontare gli episodi della Grande Guerra combattuta fra i ghiacciai e le rocce di quello straordinario gigante.

Dezulian compilava un diario che fissava gli avvenimenti del rifugio; annotava i nomi di alpinisti e turisti che in quella stube foderata di legno e illuminata dalle lampade a petrolio si fermavano a pernottare, ma anche i fenomeni meteorologici spesso di straordinaria potenza, il rombo delle valanghe, le scalate compiute, le vie aperte su pareti che il giornalista Piero Agostini indicava come “ultimi problemi dell’alpinismo sempre in cerca delle sfide estreme”.

Ricordo quel diario scritto a mano, con chiara grafia e con note meticolose: le temperature, lo spessore della neve, la portata del torrente Avisio, le vicende di quanti erano morti su quelle montagne spesso per fatali distrazioni: la più comune? Sorpresi dal maltempo. Perché  anche in piena estate una mutazione meteorologica portava un gelo che gli indumenti di quel’epoca non erano in grado di trattenere.

Quel diario documentava che mai sulla Marmolada c’era stato un distacco oppure un crollo di ghiaccio o di roccia. Certo, scivolavano le valanghe anche enormi come quella del 13 dicembre 1916; venne giù di notte, travolse i baraccamenti alla Fedaia seppellendo 500 soldati austriaci, uccidendone più di 300. 

Oppure i fulmini colpivano la ferrata ovest, la 365; ma il ghiaccio era solido, scendeva fino alla diga del lago artificiale perché quando anche in piena estate a Canazei pioveva, sopra la Fedaia nevicava e la neve restava candida per brillare al comparir del sole.

I seracchi oggi simbolo di una crudele tragedia erano percorsi durante la Grande Guerra dai Kaiserjäger e dagli Alpini del Regio Esercito. Si muovevano in piccoli gruppi con fucili, bombe a mano, ramponi, Alpenstock, piccozze, scale, passerelle di legno ed Erminio Dezulian che ne aveva attraversati davvero molti, raccontava la bellezza di quelle cattedrali di ghiaccio ora  testimoni di un irreversibile degrado ecologico e ancor di più oggi, di struggente dolore. Erminio Dezulian nato nel 1900, morì nell’incendio che il 25 novembre del 1987 distrusse il famoso rifugio e incenerì il prezioso manoscritto.

Dal Pian Tevisan si saliva alla Fedaia lungo l’erto ma bellissimo sentiero tracciato dai soldati austriaci che qua e là avevano lasciato tracce della loro permanenza su quel fronte. Ecco una targa a ricordare il reggimento di appartenenza, la postazione di un cannone, una stella alpina, i nomi di alcuni Caduti incisi sulle pietre. Tenta minuti di passo svelto, ecco la diga, il rifugio Fedaia e Mario Iori detto Marmolada, gestore ma anche il cantore dalla Regina di ghiaccio.

Un mattino di buon ora eccolo con un giovanissimo ma già capace guida alpina accompagnare sul ghiacciao Dino Buzzati il famoso giornalista del “Corriere della Sera”, ma anche poeta, pittore, artista della parola, scrittore di impareggiabile fascino, a cercare tracce della “città di ghiaccio” che lo aveva incuriosito e affascinato.

Davvero quella cittadella militare scavata nel ventre del ghiacciaio e raccontata da Gunther Langes nato a Fiera di Primiero nel 1899 nel libro “ La guerra fra rocce e ghiacci” pubblicato la prima volta nel 1934 dalla Casa Editrice Giacomo Agnelli di Milano e ripreso negli anni Ottanta alla Casa editrice Athesia di Bolzano, ha avuto un fascino irresistibile.

Venne scavata nelle profondità del ghiacciaio per dieci, forse dodici chilometri; le gallerie furono illuminate da lampadine distanti 50 metri l’una dall’altra, l’elettricità veniva fornita dalla centrale di Roia presso Canazei e nelle gallerie – la principale percorsa da una decauville – c’erano “stanze” foderate con assi e travi: dormitori, dispense, cucina, postazioni per un cannone ed alcune mitragliatrici. Scrisse Langes: “In superficie, i sentieri nel ghiaccio e le piste venivano segnati con lunghi pali, ai quali erano infisse frecce di legno, verniciate di colore giallo fosforescente.

Nella galleria interna del ghiacciaio erano stati affissi ad ogni bivio cartelli indicatori col nome di ogni ramo della galleria. Avevamo trovato per queste, nomi umoristici”. Certo, Langes aveva combattuto in quella città nel ghiaccio fronteggiando il Regio Esercito che una notte con quattro bombardieri Caproni attaccò  una zona di baracche. Fu il primo bombardamento notturno della Grande Guerra e per giunta con bersaglio un obiettivo collocato su una montagna squassata dai venti, di oltre tremila metri. Langes raccontava. Buzzati prendeva appunti e abbozzava fantastici disegni.

Sul ghiacciaio sorvolato dalla bidonvia, forse una delle prime, installata da Nino Graffer, c’erano sempre molti sciatori perché da maggio a settembre era aperta la famosa scuola di sci estivo. Nel 1935, su quel ghiacciaio, Gunther Langes aveva portato lo slalom gigante inventato nel gennaio di quell’anno in Piemonte e intanto la Marmolada diventava la montagna preferita daGLI alpinisti. Tutti provetti perché per salire da Pian Trevisan a Punta Penia bisognava avere forza, spiccate capacità e una grande passione ricambiata da uno scenario davvero spettacolare.

Nell’estate del 1961 divenne il luogo ideale per preparare i campioni, o aspiranti tali, dello sci alpino. Gli atleti si allenavano correndo sul coronamento della diga, poi salivano fino a Pian dei Fiacconi con la bidonvia e giù con gli sci. La crosta di neve furiosamente smossa scendeva lungo il ripido pendio e sembrava una valanga e poiché era provocata da atleti della nazionale, la squadra viene chiamata, in un articolo del giornale “Alto Adige”, Valanga Azzurra. Termine ormai fissato nella storia dello sci alpino.

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