Donne / Diritti

I numeri della violenza di genere: ecco perché l’8 marzo non è ancora una festa

Nel 2023 la questura di Trento ha emesso un ammonimento ogni 5 giorni. Nel 2024 siamo già a un richiamo ogni tre giorni. Senza contare i casi di chi non denuncia, spesso per timore di ripercussioni 

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di Leonardo Pontalti

TRENTO. Un altro 8 marzo, senza che nulla sia cambiato. Non c’è niente da festeggiare, anzi.

Nella giornata dei diritti delle donne, si deve prendere atto che questi continuano a essere troppo spesso ignorati, dileggiati, calpestati. Anche con la violenza.

I numeri sono impietosi: la questura di Trento nel 2023 ha emesso 97 ammonimenti, per una media di un provvedimento adottato dagli uffici di viale Verona ogni cinque giorni.

In due mesi di questo 2024 siamo già a 20, con la media di un ammonimento ogni tre giorni. Le denunce per maltrattamenti, stalking, aggressioni - domestiche o meno - riconducibili alla violenza di genere nel 2023 erano state 650.

Gli accessi in pronto soccorso nel 2022 ben 469, 216 per traumi subiti in casa, 253 fuori dalle mura domestiche. Senza contare le botte subite e non denunciate: «Sono caduta», «sono scivolata». Perché spesso la violenza di genere resta un fenomeno ancora sommerso.

I numeri sono più o meno costanti. E al di là dell’andamento, eccessivi. Sempre e comunque inaccettabili. Perché passano gli anni ma siamo sempre lì. Come sempre a sottolineare che se i numeri delle denunce crescono, forse è un bene, perché in fondo testimoniano una maggiore consapevolezza delle donne del loro diritto a non subire in silenzio e una presenza concreta di una rete istituzionale che le fa sentire accolte e protette.

Certo, è un primo passo importante. Ma davvero può bastare? La risposta non può che essere negativa, perché il quadro offerto dai dati indica soprattutto l'urgenza di un cambiamento culturale radicale. Il lavoro delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria è prezioso, fondamentale, ma è pur sempre l’extrema ratio per chi non ce la fa più e si sente in pericolo.

Per questo l’8 marzo signori - sì, soprattutto signori - non è una festa. Ci sarà festa quando non servirà più una giornata di sensibilizzazione per i diritti delle donne. Quando tutte potranno andare a godersi serate in compagnia non per la festadelladonnaentrataodrinkomaggio,ma quando pare loro, magari senza che nessuno glielo faccia pesare o butti lì i soliti “da sola non vai” o “vestita così non esci” ancora più naturali, per tanti, e diffusi di quel che si pensi.

Ci sarà festa quando una donna potrà non avere più paura di essere aggredita per strada. Ci sarà festa quando la donna che riesce nel lavoro non farà più notizia, quando chi fa scalpore perché fa “lavori da uomini” non sarà più vista con stupore perché è solo una donna che lavora e basta, mettendo a frutto le sue peculiarità. Ci sarà festa quando potrà farlo senza dover lottare contro disuguaglianze strutturali, culturali, salariali. Ci sarà festa quando anche in Italia sarà la Costituzione a sancire “Mon corps, mon choix”, come in Francia.

Ci sarà festa, infine, quando non si dovrà più gioire della consapevolezza del diritto a non subire in silenzio, bensì quando non ci sarà più chi deve subire. E in questo senso, il pensiero va a chi non potrà più inseguire quella libertà di non avere paura delle conseguenze delle proprie scelte, delle proprie libertà.

A Ester Palmieri, ad esempio, uccisa dall’ex compagno, in casa sua a Montalbiano di Valfloriana, la mattina dell’11 gennaio scorso. L’ultima vittima di femminicidio in Trentino. Purtroppo non certo l’ultima in Italia: dopo di lei sono morte per mano di un uomo già altre sei donne. In un mese e mezzo. «Il pensiero va dritto a Ester e a tutte le donne che hanno subito e subiscono delle violenze - testimoniano la sorella di Ester, Armida e il cognato Thomas - e sicuramente l’8 marzo è la giornata più giusta anche per sensibilizzare su questo argomento. Ogni giorno, in realtà, è buono per ricordare che la donna non dovrebbe mai essere trattata come un oggetto, ma va amata e protetta.

E ricordare come nessuna donna debba essere considerata o peggio ancora sentirsi lei stessa di proprietà di nessuno. Il possesso che l'uomo ritiene di poter esercitare porta poi a ciò che accade troppo spesso e che purtroppo ha toccato anche la nostra famiglia». Dicono bene, Armida e Thomas: ogni giorno è buono per ricordare. Per questo quella di oggi non è, non può essere una giornata di festa: finché i numeri di una strage figlia del mancato rispetto delle donne, dei loro diritti, delle loro libertà di persone, saranno questi, finché davvero non si cambieranno mentalità, abitudini, cultura in tutti gli ambiti - familiare, lavorativo - sociale - servirà un 8 marzo così come serve un 25 novembre.

Non una festa, ma una data in più per ribadire come si debba dire basta ad ogni tipo (fisica, verbale, psicologica, economica) di violenza e prevaricazione basata su diversità - di genere in questo caso - che sono ancora viste come una debolezza su cui fare leva, anziché come peculiarità da rispettare e opportunità che arricchiscono tutti.

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