Urbanistica / Il dibattito

Questione edifici abbandonati in Trentino: bisogna costruire sul «costruito»

L'analisi dell'ingegnere Emiliano Leoni, presidente del Citrec: bisogna dare un senso a questi spazi lasciati andare che ci interrogano e a volte ci attraggono, ma l'obiettivo è limitare sempre il consumo di suolo

IL PUNTO In Trentino oltre 400 ruderi, il caso degli edifici dismessi
IL PROGETTO "sedotti e abbandonati" quelle ferite nelle comunità 
ESEMPIO Con "Centrale Fies" la prima rigenerazione italiana di archeologia industriale a fini artistici

di Emiliano Leoni

Il fenomeno della dismissione e del continuo adattamento e trasformazione dello spazio urbano rappresenta un processo fisiologico che fa parte della natura stessa e della forma delle città da sempre. L’abbandono di edifici e spazi, a volte di interi borghi, è sempre esistito nella storia ed è un fenomeno che coinvolge aspetti emozionali profondi. Gli edifici abbandonati appaiono cristallizzati nel tempo, nascondono al loro interno un tempo diverso da quello che corre fuori, hanno colori e suoni propri, raccontano storie, rievocano voci ed esperienze di vita.

È per questo che la patina del tempo che li avvolge tocca le corde emozionali, suscita nostalgia e fascino, li rende seducenti agli occhi dell’osservatore.

Questi manufatti ci interrogano, ci attraggono, a volte provocano quasi una sorta di innamoramento, stimolano la nostra immaginazione; tuttavia è importante non fermarsi a questo prima reazione. Scoprire edifici o spazi abbandonati deve innescare prima di tutto un’azione di conoscenza; significa provare ad assegnare un senso a quelle rovine, osservare e studiare i luoghi per comprenderne il valore intrinseco.

L’incertezza che li caratterizza svela infatti, dopo un’attenta azione di ricerca e di studio, tutte le loro potenzialità future, anche quando sembrano regnare il disordine ed il vuoto. Si tratta di poter consapevolmente capire cosa demolire e cosa conservare, considerando che a volte anche il sacrificio di alcune parti può essere necessario.

Le riflessioni che avevo personalmente sviluppato anche per l’area ex Anmil di Rovereto prevedevano ad esempio la conservazione di alcune strutture significative che avrebbero trovato nuova vita e contemporaneo protagonismo all’interno di un nuovo parco e la demolizione di altre sulla base di precise valutazioni storiche ed architettoniche.

[l'ex hotel Panorama di Sardagna, in alto la ex questura in piazza Mostra a Trento: due luoghi simbolo degli edifici abbandonati in città]

Per portare avanti queste azioni è opportuno prima di tutto ragionare sulla scala degli abbandoni. Spesso si parla di edifici industriali dismessi o di comparti urbani più ampi (ex caserme, vecchi sanatori o manicomi, edifici scolastici o religiosi), ma gli abbandoni riguardano anche edifici residenziali isolati (basti pensare alle numerose “ca’ da mont” nel nostro territorio trentino), opere infrastrutturali (ad esempio linee ferroviarie dismesse) con i relativi manufatti accessori (stazioni, case cantoniere), spazi commerciali (isolati o all’interno dei centri storici) o addirittura scheletri di edifici mai completati.

A seconda del tipo di scala devono essere attivate tattiche e strategie diverse ed è proprio per questo motivo che è fondamentale comprendere il valore dei manufatti per poterne far risaltare fino in fondo l’autenticità, esaltandone l’identità e le correlazioni con il contesto.

Tutti gli interventi su questi ambiti si sviluppano secondo la logica del “costruire sul costruito” che consente di limitare il consumo di suolo, attivare processi di rigenerazione urbana, riattivare spazi sottoutilizzati o abbandonati. È un processo di riuso e rifunzionalizzazione, che prevede spesso di conservare alcune parti per garantire la memoria del passato, trasformandone altre e cambiando la funzione e la destinazione d’uso in base alle esigenze presenti e future. D’altro canto la stratificazione è nella natura stessa delle città, che si compongono di parti sovrapposte e di edifici rimaneggiati e trasformati nelle diverse epoche.

In Italia ed in Europa sono presenti diversi esempi significativi, più o meno recenti, di rifunzionalizzazione di spazi dismessi: vale la pena citare le Ogr - Officine Grandi Riparazioni di Torino (trasformate in uno spazio per la cultura contemporanea), il Musee d’Orsay a Parigi (ospitato all’interno di una vecchia stazione), il Noi Techpark di Bolzano (un centro di innovazione tecnologica creato dentro il vecchio stabilimento Alumix della città), l’auditorium Paganini a Parma (realizzato in un ex zuccherificio), la sede dell’istituto di ricerca Eurac a Bolzano (all’interno di un edificio razionalista degli anni Trenta) e ancora la Tate Gallery a Londra (concepita negli spazi di una vecchia centrale termoelettrica).

Le condizioni indispensabili per l’attivazione di questi processi sono molteplici. Innanzitutto la disponibilità di risorse economiche, che spesso possono essere private, che consentano di avviare l’investimento ed attivare sinergie positive tra diversi operatori economici e sociali.

Le nuove funzioni all’interno degli spazi abbandonati non devono necessariamente diventare pubbliche, o possono esserlo solo in parte; la loro natura dipende dalle necessità del contesto e deve essere il frutto dell’azione di ricerca e di conoscenza iniziali.

In secondo luogo questi interventi di trasformazione di spazi abbandonati necessitano di strumenti urbanistici flessibili e veloci.

L’urbanistica contemporanea non può rimanere rigida e definita da limiti e regole troppo restrittive, ma deve essere più aperta ed elastica. L’architetto Rem Koolhaas, nel suo libro “Testi sulla (non più) città” afferma che “se una nuova urbanistica esisterà (...) consisterà in uno scenario di incertezza. Il suo compito non riguarderà più la sistemazione di oggetti più o meno permanenti, ma sarà di portare acqua a territori ricchi di potenzialità. Non mirerà più a configurazioni stabili, ma alla creazione di campi che siano capaci di accogliere processi che rifiutano di essere cristallizzati in forme definitive.” Sarà sempre più indispensabile occuparsi non del “nuovo”, ma del “trasformato”.

Potrebbero essere utili uffici o servizi di coordinamento per attivare sinergie e progetti di intervento, così come potrebbero essere istituite delle premialità per incentivare la riqualificazione di aree o edifici dismessi. La recente proposta del Pnrr poteva essere una grande occasione di intervento anche su questi spazi abbandonati, ma le ristrettezze temporali in cui è stata concentrata stanno rendendo difficile un suo pieno sfruttamento.

Spesso infatti la velocità di azione che viene imposta ai professionisti limita lo sviluppo di un pensiero coerente e profondo e rende difficile immaginare architetture di qualità, meritevoli di essere costruite, portando invece spesso ad un “fare tanto per fare” con il rischio di creare delle rovine contemporanee.

È indispensabile una visione d’insieme che permetta di guardare oltre i limiti temporali dell’immediato presente. 

(Emiliano Leoni è ingegnere progettista e presidente Citrec - Circolo trentino per l’architettura contemporanea)

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