Sanità / Il progetto

La Provincia: a Trento un hospice pediatrico in via al Desert, ci sono i finanziamenti statali

L'assessora alla salute, Stefania Segnana, spiega che il progetto potrebbe diventare realtà entro il 2026: «Oltre alle stanze sono previsti spazi per i colloqui, una piscina per la riabilitazione e il sollievo, un'area di pet-therapy, un orto dove svolgere attività»

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di Patrizia Todesco

TRENTO. Grazie a un finanziamento che dovrebbe arrivare grazie ad emendamento inserito nel Dl 50 dalla deputata Vanessa Cattoi e che dovrebbe portare nelle casse trentine 5 milioni di euro, la Provincia conta di poter realizzare un hospice pediatrico a fianco della Protonterapia, su terreno pubblico.

«Abbiamo già avuto diverse interlocuzioni con Roma - conferma l'assessora Stefania Segnana soddisfatta del risultato ottenuto - e abbiamo già presentato uno studio preliminare. Quando ci sarà il via libera al Dl 50 ci sarà la possibilità di effettuare questo intervento in conto capitale». Il progetto prevede sei posti letto per l'accoglienza di minori.

«Le stanze sono previste sia con posti letto di degenza, che con posti di sollievo per la famiglia. Il centro sarà poi anche un punto di riferimento per le famiglie che devono imparare a gestire i bambini al momento delle dimissioni, ma anche un luogo di accompagnamento in momenti così delicati. Secondo le nostre previsioni nel 2023 dovrebbe essere approvato il progetto, nel 2024 indetta la gara e nel 2026 il centro dovrebbe aprire.

Oltre alle stanze sono previsti spazi per i colloqui, una piscina per la riabilitazione e il sollievo, un'area di pet-therapy, un orto dove svolgere attività», spiega l'assessora. Trattandosi di una struttura vicino al centro di protonterapia, ovviamente sarà anche a disposizione dei bambini che devono essere ricoverati dopo i trattamenti e quelli che necessitano delle cure palliative.

Grazie all'integrazione ospedale/territorio, all'interazione con la rete cure palliative degli adulti e il coinvolgimento sia dei pediatri di libera scelta che dei medici di medicina generale in Trentino il 70% dei minori che potenzialmente potrebbero aver bisogno delle cure palliative sono seguiti da questi specialisti, contro meno del 10% del resto d'Italia. E quando si parla di cure palliative non si parla solo di bambini con tumori.

Le patologie che più spesso colpiscono i minori sono le insufficienze d'organo irreversibili, la fibrosi cistica, le malattie degenerative metaboliche e neurologiche, le patologie cromosomiche e geniche; la paralisi cerebrale severa, la disabilità per sequele di danni cerebrali e/o midollari. Le malattie oncologiche rappresentano solo il 15% dei bambini eleggibili alle cure palliative pediatriche sebbene siano quelli che vi accedono con maggior facilità.

Nel triennio 2018-2020 i minori seguiti dalle cure palliative nel fine vita sono stati 32 e di questi il 40% al domicilio e il 60% in ospedale. In media tutti necessitano di giornate di ricovero più o meno lunghi tanto che solitamente 2 posti della pediatria sono occupati da minori seguiti appunto dalle cure palliative. In queste ore tutti hanno presente il sorriso di Archie Battersbee, il ragazzino di 12 anni in coma irreversibile dallo scorso aprile che è stato al centro di una feroce battaglia tra medici e famigliari e che è deceduto ieri a Londra. La mamma si era battuta per ottenere il prolungamento dell'assistenza o il trasferimento del figlio in un hospice per malati terminali ma la sua richiesta non è stata accolta. Dal 2014, anno della sua costituzione, la Rete di terapia del dolore e cure palliative pediatriche dell'Azienda sanitaria di Trento ha preso in carico 100 minori e attualmente sono circa 60 quelli seguiti.

Il dottor Marco Bolognani, responsabile della rete, in occasione della giornata per sensibilizzare sulle cure pediatriche aveva proprio sottolineato la necessità che anche il Trentino avesse il suo hospice pediatrico. Lo specialista aveva fatto presente come in queste strutture non vengano offerte solo cure per il fine vita, ma cure per la qualità della vita. «Con focus - aveva sottolineato - non solo sui bisogni clinici, ma anche quelli psicologici e sociali che riguardano il paziente, anche la famiglia nel suo insieme».

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