Corridoio umanitario, i profughi siriani ringraziano il Trentino per l'accoglienza

«Il nostro grazie alla Diocesi e alla Provincia di Trento per la vostra accoglienza»

«Il nostro grazie alla Diocesi e alla Provincia di Trento per la vostra accoglienza. Siamo stati quattro anni in una situazione di incertezza, in Libano avevamo paura, da due giorni finalmente possiamo respirare, qui siamo tranquilli. Voi ci date la possibilità di crescere i nostri figli in un ambiente sereno, lontano dalla guerra. Se Dio vuole diventeremo una grande famiglia».

Il siriano Aburabia Satouf, 37 anni, papà di tre bambini e un quarto in arrivo, si rivolge così all’arcivescovo Luigi Bressan e al presidente della Provincia, Ugo Rossi, donando ad entrambi una bandiera per la pace con le firme di tutti i ventinove connazionali ospiti da lunedì 29 febbraio in due strutture di proprietà dell’Arcidiocesi in località San Nicolò, sulla collina ovest di Trento, nei pressi di Ravina.  

Nella conferenza stampa di oggi pomeriggio in sala Clesio di via Barbacovi a Trento, Aburabia, accompagnato dal fratello Abdelsalam (quest’ultimo con la moglie Hammoud Ataa e i due figli Ahmad e Tartil, curiosi e felici), si è fatto portavoce dei sette nuclei, tutti appartenenti ad un unico ramo familiare, arrivati in Italia grazie al corridoio umanitario che ha fatto entrare per ora nel nostro Paese novantatre profughi provenienti dal campo di Tel Abbas in Libano.

Lì, in tende di fortuna, vivevano dal 2012 in fuga dalla città di Homs, rasa al suolo nella Siria in fiamme.

Il corridoio si è reso possibile grazie all’accordo sottoscritto a metà dicembre dal governo italiano con la comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e la Tavola valdese.

Atterrati a Fiumicino, undici adulti e diciotto bambini (quattordici dei quali sotto i sette anni) hanno proseguito il viaggio in pulmann verso Trento, per essere ospitati in due case di proprietà dell’Arcidiocesi di Trento nella località un tempo residenza estiva dell’arcivescovo.

«Quando si è prospettata la possibilità del corridoio umanitario abbiamo dato subito il nostro pieno appoggio, certi di dover garantire il loro arrivo senza rischiare la vita. Per questo abbiamo sostenuto senza alcun tentennamento la ristrutturazione degli stabili, ricavandone alloggi autonomi in grado di ospitare al meglio le famiglie profughe», sottolinea il vescovo Bressan ricostruendo le fasi del progetto, dopo essere stato stamani in visita a San Nicolò per portare il suo saluto a tutti gli ospiti siriani.
 
A loro sostegno interviene economicamente la Provincia, garantendo lo stesso trattamento previsto per i profughi inseriti nel progetto di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.

Così prevedeva un ordine del giorno approvato a maggioranza trasversale dal consiglio provinciale lo scorso 18 dicembre, primo firmatario Mattia Civico, che ha favorito il percorso di accoglienza fin dall’inizio ed ora vede nel Trentino l”«apripista di un progetto che consente una condivisione profonda. Possiamo continuare a ridere e piangere con loro».  

«Siete in una terra che ha semplicemente cercato di ascoltare persone che avevano bisogno di essere ascoltate», ha detto rivolto agli ospiti siriani il governatore Rossi (con lui in sala anche l’assessore provinciale alla solidarietà sociale Luca Zeni).

«Così – ha aggiunto il presidente - vogliamo dare un’opportunità vera di inserimento nella logica della grande famiglia».   

I profughi ammessi al corridoio umanitario, alternativa allo spettro di un viaggio disperato in mare, sono stati scelti in base a criteri di vulnerabilità (a cominciare dalle loro condizioni di salute) ed hanno ottenuto un visto umanitario a territorialità limitata rilasciato dall’ambasciata italiana in Libano. Una procedura che dovrebbe ora velocizzarne il riconoscimento dello status di rifugiati.  Il corridoio umanitario aperto dall’Italia prevede complessivamente l’arrivo di un migliaio di persone in due anni non solo dal Libano, ma anche da Marocco ed Etiopia.

A San Nicolò, accanto ai profughi siriani, resterà Marta Matassoni, 24enne roveretana che li ha accompagnati nel viaggio verso l’Italia dopo aver condiviso con loro cinque mesi nelle tende del campo di Tel Abbas come membro dei corpi civili di pace dell’Operazione Colomba (dell’Associazione Papa Giovanni XXIII) rappresentata in sala Clesio anche da uno dei suoi operatori ”storici”, Fabrizio Bettini, pure di Rovereto.

Coordinatore del progetto di accoglienza dei profughi siriani a San Nicolò sarà invece Tommaso Vaccari che spiega: «Per ora dobbiamo ricostituire questa grande famiglia nel nuovo ambiente. Iniziamo dalle piccole cose quotidiane, come la gestione della raccolta differenziata dei rifiuti. A breve inizieremo i corsi d’italiano».

La regia dell’accoglienza sarà in mano a Fondazione Comunità Solidale, braccio operativo della Caritas diocesana, il sinergia con il Cinformi per la Provincia.

Il direttore di Fondazione Cristian Gatti (presente accanto al direttore della Caritas Roberto Calzà), in conferenza stampa ha fatto anche il punto sul complessivo progetto di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale da parte dell’Arcidiocesi, avviato a metà novembre d’intesa con l’ente pubblico. A tutt’oggi, oltre ai 29 siriani a San Nicolò, vi sono 62 profughi ospiti in 12 canoniche sparse in tutto il territorio Trentino (dodici i decanati coinvolti con una puntuale opera di sensibilizazzione), che saliranno in breve tempo a 80 posti in 17 abitazioni.

Accanto all’accoglienza dei profughi, 13 canoniche ristrutturate saranno destinate alla risposta ad emergenze sociali locali con la possibilità di ospitare, a progetto completato, 62 persone. In tutto saranno messi a disposizione dall’Arcidiocesi 38 alloggi per complessivi 143 posti ed una spesa di poco inferiore ai 450 mila euro.

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