Una bimba "guerriera" e la scelta di una famiglia: «Lezioni a casa, dopo la chemio non può portare la mascherina»

di Andrea Tomasi

C'è chi li chiama «la coppia no mask» per la loro battaglia contro l'obbligo dellla mascherina per i figli (la vicenda del loro primogenito è stata raccontata anche dal nostro giornale sull'edizione del 19 gennaio). Loro però si definiscono «famiglia no fear», una famiglia «senza paura»: moglie, marito, genitori di Antonio (10 anni) e Arianna (8).

Sono nomi di fantasia per garantirne la tutela, anche se nella scuola di Agnedo ovviamente tutti li conoscono. Hanno accettato di parlare con l'Adige .

«Possono chiamarci negazionisti, complottisti, terrapiattisiti... poco ci importa» ci dicono davanti ad una tazza di caffè nella loro abitazione.

In quell'appartamento fanno scuola da soli, da novembre, dal giorno della pubblicazione del Dpcm che prevede, per gli alunni, l'obbligo della mascherina in aula, anche da seduti, al banco.

«Non è in una scuola trasformata in ospedale che vogliamo crescere i nostri figli, con la paura di un contagio che, nel caso dei giovanissimi, è inesistente».

Per capire come vive e cosa vuole questa famiglia dobbiamo fare un passo indietro e concentrarci sulla piccola Arianna. Aveva 6 anni quando le venne diagnosticato un tumore al cervello: una massa di sei centimetri di diametro, un glioma del terzo grado, aggressivo, anaplastico. Dopo la risonanza magnetica del 21 maggio 2019 la bambina venne ricoverata a Verona, nel reparto di oncoematologia pediatrica dell'ospedale Borgo Trento. Il 29 maggio: primo intervento chirurgico di asportazione parziale della massa maligna. Per una settimana non riusciva a parlare. Non riusciva a muovere la parte destra del corpo. Il 19 giugno: secondo intervento di chirurgia, durante il quale venne rimosso il resto del tumore (una piccola parte non si poteva toccare perché ancorata ad una vena). Sono seguite 30 applicazioni di protonterapia, associate alla chemio. Parliamo poi di 16 cicli di chemioterapia (uno al mese per cinque giorni). «Abbiamo finito a Natale 2020». Ma i controlli e i prelievi continuano. Intanto Arianna si è ripresa, in buona parte, anche se le difficoltà non mancano.

Dopo l'isolamento a Verona, dopo mesi di ospedale, tra sondini e liquor cerebrale da gestire, sta lentamente tornando alla normalità. «Ha ancora qualche difficoltà - ci dice la mamma - La memoria a breve termine ne ha risentito. Le tabelline le dimentica facilmente. A volte è rallentata nel parlare. Insomma è più debole». Arianna è una bambina speciale, che richiede attenzioni speciali. Ha vissuto con la mascherina una buona fetta della sua vita. «Lei non vuole neanche sentire parlare di mascherine e di ospedale. Anche per questo stiamo facendo questa battaglia, che per noi è una battaglia di civiltà». Dopo il primo lockdown, era tornata a scuola. «L'accompagnavamo e stavamo fuori dall'aula nel caso avesse avuto bisogno di supporto». Quando è scattato l'obbligo di mascherina anche dietro il banco, i genitori hanno deciso di tenerla a casa.

E lo stesso hanno fatto con il primogenito, di cui si sono occupate le cronache.
Realisticamente Arianna perderà l'anno di scuola (per Antonio forse c'è la strada degli studi con una scuola privata). La bambina però ha dei problemi che altri non hanno. I genitori hanno chiesto l'applicazione del Ppat (Progetto personalizzato di assistenza e tutoraggio), che consiste in 6 ore di lezione a settimana, con gli insegnanti a domicilio.

E qui siamo al nodo della storia. Il protocollo prevederebbe l'igienizzazione degli spazi di studio a casa, l'uso della mascherina per genitori, inseganti e alunna, nonché il distanziamento di due metri. Una soluzione che la famiglia considera inaccettabile proprio perché vuole evitare l'ospedalizzazione de facto della bambina che - sottolinea la coppia - ha già vissuto abbastanza tra camici, sondine e strumenti di protezione. È un braccio di ferro estenunante: da una parte l'appello alla comprensione e dall'altra il vincolo scolastico alle norme. «Le maestre possono venire scafandrate, vaccinate, con tutte le mascherine del caso, ma noi vogliamo evitare il supplizio a nostra figlia. Lei non indosserà la mascherina. E noi con lei».

Si spera in possibili evoluzioni della situazione, con un dialogo che resta aperto verso la scuola e verso la Provincia. Certo, una conciliazione pare difficile e infatti i genitori di Arianna e Antonio si sono già attivati, assieme ad altre 14 famiglie, per avviare un progetto di «istruzione parentale». Le lezioni fatte dai genitori. La legge permette di delegare alle famiglie e ad una comunità educante il ruolo della scuola. «Lo prevede l'articolo 30 della Costituzione - dice il padre - che si sta organizzando per creare un laboratorio-comunità per dieci bambini della Valsugana». «Della scuola così come è fatta oggi non abbiamo fiducia. «La nostra sarà una scuola senza paura e Arianna non indosserà la maschera».

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