Bieno dice addio a Bernardo, l'ultimo partigiano

Il prossimo 22 febbraio Mario Bernardo avrebbe festeggiato il secolo di vita. È scomparso domenica, nel tardo pomeriggio, nella sua casa di Bieno dove era tornato a vivere nel 2003. Ex partigiano «garibaldino», il suo nome di battaglia era «Radiosa Aurora».

Parliamo di un personaggio che, dopo aver partecipato alla Seconda Guerra Mondiale come ufficiale alpino in Alto Adige, dopo l’8 settembre ritorna nel paese dei suoi genitori. Qui decide di aderire alla lotta partigiana e dopo una prima azione militare di tipo partigiano (con un amico era riuscito a sottrarre dell’esplosivo ai fascisti) scappa dalla finestra per non essere arrestato. È uno dei personaggi più conosciuti della resistenza italiana, una vicenda, la sua, raccontata in un libretto, dal titolo «Ultimi racconti ‘944», edito quattro anni fa dalla sezione Anpi di Mira, in provincia di Venezia dove Bernardo era nato nel 1919.

Con il nome di battaglia «Radiosa Aurora», infatti, è presente con la Brigata Gramsci nel 1944 sulle vette feltrine ed alla «pulizia del Grappa», il grande rastrellamento voluto da Kesselring nel settembre di quello stesso anno.

In una intervista rilasciata all’Adige diversi anni fa, raccontava come, a fronte di 10.000 soldati (di cui molti altoatesini), in quel rastrellamento si parlò di 600 fucilati, tra partigiani e l’inerme popolazione. Vennero bruciati villaggi, incendiate malghe e fienili, sterminato bestiame. Dopo quel mattatoio, seguirono anche le azioni esemplari. Il 26 settembre, ad esempio, a Bassano furono impiccati sul vialone, con fili elettrici, 31 giovani partigiani (altri 19 furono fucilati dopo). Ma secondo Bernardo i numeri veri potrebbero essere molto maggiori: «Alla mattina presto - ricordava - i tedeschi erano passati coi lanciafiamme: distruggevano i cadaveri. Mica per dissimulare il loro eccidio ma semplicemente, da teutonici, per motivi igienici». Lui in montagna non andò per romanticismo, ci andò per fare al nemico il massimo del male possibile. Comunista, uomo di grande raziocinio, quasi scientifico nel suo operare, riuscì a sopravvivere ai rastrellamenti nazisti di quell’estate-autunno del 1944 e rimase attivo nella resistenza bellunese fino all’insurrezione.

Tra l’altro, ebbe uno scontro a fuoco con le camicie nere della Divisione Tagliamento. Il nemico era comandato da Giorgio Albertazzi, il futuro attore. «Sapevamo tutti e due di esserci già incontrati - aveva raccontato a l’Adige - il cinema è un ambiente pettegolo, fatto per mostrare. Certo, questo spettro ci divideva». Dopo una breve parentesi come capo della polizia a Trento, infatti, Mario Bernardo andò a vivere a Roma dove si occupò di cinema, come sceneggiatore e direttore della fotografia. Collaborò con molti registi italiani firmando tra l’altro, le immagini di Comizi d’amore e Uccellacci e Uccellini per Pier Paolo Pasolini. Negli anni ‘60 ha diretto la fotografia di diverse opere per la televisione, tra cui il conte di Montecristo: autore di 400 tra film, documentari, short pubblicitari e sceneggiati tivù, per 25 anni è stato docente di tecnica della ripresa al Centro sperimentale di cinematografia di Roma.

«Mi sono sempre sentito orgoglioso di appartenere ad una terra - scrive il sindaco di Bieno Luca Guerri - che è riuscita a liberarsi da sé grazie al coraggio di tanti giovani partigiani come lo sei stato tu. Speravo che l’iter per il conferimento del prestigioso riconoscimento del Cavalierato al Merito della Repubblica italiana, si concludesse in tempo per poter rivedere ancora quel sorriso di gratitudine che esternavi ogni qualvolta ti veniva conferito qualcosa. Era stato così anche in occasione del conferimento della Medaglia della Liberazione. Ci mancherai Mario, fai un buon viaggio». Mario Bernardo lascia i due figli Andrea, professore all’Istituto Comprensivo di Borgo, e Paolo.

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