«Il nostro viaggio tremendo, a saperlo non partivamo»

La toccante testimonianza di cinque profughi di Nomi

di Tommaso Gasperotti

Souleymane ha poco più di 30 anni e viene dal Senegal dove lavorava come agricoltore. Indossa la maglietta della nazionale italiana, la numero 9 con la scritta Inzaghi, mentre ci accompagna nell'appartamento di via Paissan che l'Apsp Opera Romani ha messo a disposizione per l'accoglienza. «È la prima volta che Nomi ospita un gruppo di richiedenti asilo. Una sfida umanitaria a cui non potevamo sottrarci - afferma la presidente della Casa di riposo Francesca Parolari ( in foto con i profughi ) ?. L'importante, ora, è che questi ragazzi si facciano conoscere dalla comunità».

Sono cinque i giovani profughi, tre dal Senegal e due dal Gambia, arrivati da pochi giorni in paese. Ognuno con una storia diversa alle spalle. Ma un unico filo rosso che accomuna le loro odissee. «Abbiamo attraversato il deserto del Sahara su piccoli fuoristrada per più di una settimana. Molti compagni di viaggio sono morti di fame, per il caldo o per aver bevuto acqua infetta - raccontano Fakebba e Yunus, entrambi dal Gambia, con lo sguardo improvvisamente più spento -. Una volta arrivati in Libia ci hanno rinchiuso per mesi in prigione, dove tanti di noi sono stati derubati e picchiati». «In Libia - prende parola Zakaria, che proviene dal sud del Senegal - la situazione è grave e l'economia si basa solo sullo sfruttamento dei migranti. E se non conosci qualcuno del posto tutto diventa più difficile». Proprio in una delle carceri libiche ha perso tutto: i soldati gli hanno rubato i contanti racimolati per il viaggio e lo hanno riportato in mezzo al deserto. «Sono ritornato a piedi in Libia. Ho lavorato come meccanico per ripagarmi il viaggio in barca e poter raggiungere l'Italia».

Sulle motivazioni che li hanno spinti ad abbandonare tutto e rischiare tanto c'è l'instabilità politica più che la guerra. «Tutta l'Africa sta vivendo grossi spostamenti, sia interni che verso l'Europa. Sono tantissimi i giovani che partono in cerca di fortuna in Paesi dove si sentono più protetti e dove sognano un futuro migliore - spiega Zakaria -. Mia madre e mio fratello ad esempio sono fuggiti in Mauritania. Io in Italia». Partono. Anche se là, a migliaia di chilometri di distanza, ci sono i loro affetti più cari. «Vorrei trovare un lavoro e portare in Italia la mia famiglia», si augura Souleymane, che è papà di cinque bambini.

Una cosa è però certa. «Non pensavamo fosse tanto lungo e pericoloso questo viaggio. Nessuno ci aveva avvertito. Se l'avessimo saputo forse non saremo neanche partiti», ammettono. Anche perché dopo la Libia, l'ignoto prendeva il nome di Mediterraneo. Poi Lampedusa, Agrigento fino alla residenza Fersina di Trento, dove sono stati per più di un anno. «L'altra sera hanno partecipato alla Camminata della fraternità a Rovereto - racconta Parolari - e sicuramente ci daranno una mano con gli anziani della casa di riposo. Stiamo pensando ad alcune iniziative per inserirli nella vita sociale del paese, anche perchè questo progetto d'accoglienza vuole essere di tutta la comunità. E le prime risposte non si sono fatte attendere: alcune famiglie sono già andate a far visita ai nuovi arrivati, donando loro mobili, stoviglie e altri arredi per rendere la loro nuova casa un po' più accogliente»

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