Città/ L’emergenza

Il rudere in fiamme e quel gruppo di «fantasmi» a due passi dal centro città

Piedicastello, parlano i pakistani che hanno perso tutto quello che avevano nell’incendio di due giorni fa: «Abbiamo i documenti, ma non abbiamo un posto dove stare»

 

di Marica Viganò

TRENTO. L’incendio del rudere di Piedicastello, l’altroieri, ha svelato ancora una volta una trento degli invisibili. A due passi dal centro storico, ma lontano dagli sguardi, nella ex sede della Cooperativa sociale La Sfera, viveva una colonia di stranieri. In gran parte pakistani, ma anche nordafricani e nigeriani.

«Viviamo qui in mezzo ai rifiuti, come le bestie». Lo dice in inglese - «like animals» - e il paragone fa male. Parla il più vecchio del gruppo. Non vuole foto per evitare che la sua famiglia in Pakistan sappia la verità. Per lo stesso motivo preferisce non dire il suo nome: ha 40 anni e nel suo Paese aveva un'occupazione, era magazziniere.

Racconta che anche qui gli piacerebbe fare lo stesso lavoro, ma non si trova nulla. «Abbiamo i documenti, ma non una residenza. Nessuno ci prende se non abbiamo un indirizzo, una casa». Se fino alle 12.30 di martedì l'unica certezza sua e dei suoi connazionali era un tetto, un giaciglio, in luogo ben preciso in cui lasciare i vestiti di ricambio ed i piccoli e grandi effetti personali, ora si ritrovano senza nulla.

C'è un uomo del gruppo di pakistani che indossa un paio di infradito; un ragazzo ha le maniche corte: c'erano quasi venti gradi quando, in tarda mattinata, hanno raggiunto il Punto di Incontro per pranzo, lasciando ovviamente i vestiti invernali nel rifugio. Tutto è andato in cenere, mentre loro mangiavano ignari dell'inferno di fuoco che si stava scatenando nell'edificio: c'è chi non ha più le scarpe, chi ha perso nel rogo il maglione e la giacca, capi indispensabili per la notte in questa stagione. Si teme che le fiamme abbiano portato via ciò che di più prezioso hanno i migranti: i documenti.

«È meglio portarli sempre con sé, noi lo ricordiamo sempre. Ora verificheremo le singole situazioni» spiegano i ragazzi dell'associazione "Gioco degli Specchi" che da qualche mese svolgono un servizio umile ma utile: una custodia giornaliera di vestiti e coperte dei senzatetto.

L'edificio distrutto dalle fiamme non era certo una casa calda e accogliente, miraggio di molti stranieri che arrivano in Italia stremati dopo un "viaggio della speranza". Eppure per loro rappresentava un punto di riferimento dopo la pericolosa peregrinazione lungo la rotta balcanica, l'arrivo in Italia, la sistemazione di fortuna a Trento, lo sgombero dell'edificio dello scorso autunno.

Le gelide notti d'inverno le hanno superate grazie al piano di accoglienza straordinaria messo in campo la stagione scorsa nel capoluogo, ma con la chiusura tra fine febbraio e inizio marzo dell'Ostello (che era stato messo a disposizione dal Comune) e della chiesa di Centochiavi (per iniziativa dell'Arcidiocesi) il rientro nella casa abbandonata di Lung'Adige rappresentava l'unica alternativa alla sistemazione sotto un ponte.

«Siamo a Trento da un anno - racconta un giovane in inglese, la lingua "veicolare" che utilizzano per comunicare con le associazioni e le istituzioni - Non abbiamo né acqua, né luce. Siamo senza bagno, senza cucina, senza nulla». I pakistani dell'edificio di Lung'Adige, come raccontano i volontari che da mesi li seguono e li aiutano, avevano suddiviso gli spazi in modo da creare una convivenza abbastanza pacifica con alcuni marocchini e nigeriani che pure si riparavano lì nei giorni fredde.

«Stasera dormiremo qui, in strada» dice il quarantenne, indicando il marciapiede vicino al Centro sociale Bruno, ma i volontari lo rassicurano: nessuno verrà lasciato solo. Non sarà difficile recuperare capi di abbigliamento per tutti e coperte, ma si tratta solamente di soluzioni temporanee. I migranti chiedono altro: un lavoro e un luogo decoroso in cui vivere, che non li faccia sentire «like animals». 

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