Tamponi, tra dubbi e attese eterne La storia di una mamma ipovedente in coda a piedi con due figli minorenni

di Matteo Lunelli

Incertezza, attesa, paura e solitudine. Sono i sentimenti che più di altri accompagnano chi si trova contagiato, chi teme di esserlo o chi aspetta di vedere quella scritta, "negativo", che pone fine all'incubo. Persone, in ogni caso, fortunate rispetto a chi vive quegli stessi sentimenti in una camera dell'ospedale, magari aiutato dall'ossigeno per respirare. Tornando a chi non è in ospedale, ovvero alle 2.520 persone attualmente positive in Trentino (quelle con il tampone molecolare, alle quali ne vanno aggiunte altre centinaia, se non migliaia, positive al tampone antigenico), la situazione sta giorno dopo giorno diventando più difficile.

Ai drive through le code sono quotidianamente eterne: persone spesso sintomatiche che in macchina (ma non solo, come leggerete e come vedete nelle foto) attendono di effettuare il tampone per sapere se sono positive o se si sono negativizzate. Negli ambulatori dei medici di base ad essere eterne più che le code sono le telefonate, con centinaia e centinaia di trentini che ogni giorno chiamano per segnalare la propria situazione e capire come comportarsi.

Poi c'è la Centrale Covid, che ha l'ingrato compito di tentare di gestire la situazione, con i vertici di Provincia e Azienda sanitaria che continuano ad assicurare che tra le mansioni resta attiva quella del "contact tracing", il tracciamento dei contatti, ovvero l'attività di ricerca e gestione dei contatti di un caso confermato.Sostanzialmente quando arriva la conferma di positività, dovrebbe arrivare anche una telefonata dalla Centrale, che chiede alla persona chi ha visto nelle 48 ore precedenti e poi decide chi isolare o testare.

In questo quadro ecco alcune testimonianze che abbiamo raccolto in questi giorni. Tre storie (ma ne avremmo molte altre), che più di mille dichiarazioni ufficiali e comunicati stampa raccontano come i trentini stanno vivendo questa seconda ondata, tra difficoltà, perplessità e domande senza risposta.

A piedi nel drive through.

Il caso a Trento. «Piccola premessa: mia mamma e mio papà sono parzialmente ciechi, mio fratello minorenne ha problemi alla retina, mia sorella, anche lei minorenne, non ha difficoltà a vedere e io non ho la patente perché ho problemi alla vista. Mio fratello ha avuto sintomi lievi il 16 ottobre. La sua classe è stata messa in quarantena il 24 e il 26 ottobre lui ha fatto il test rapido in farmacia: positivo. Lunedì 2 novembre ci è arrivata la mail con la prenotazione per tre tamponi previsti per il 6 novembre: oltre a mio fratello dovevano farlo anche mia mamma e mia sorella, considerate contatti diretti. Io ho chiamato per far presente la nostra situazione con problemi alla vista e spiegare che nessuno di noi ha la patente.

Dopo alcuni passaggi tra Ufficio Igiene, Numero verde e Centrale Covid e un paio d'ore di attesa, mi hanno risposto e chiesto se non c'era qualcuno che potesse accompagnarli. Ho fatto presente che chiedere a qualche parente o amico di chiudersi in macchina con tre persone potenzialmente positive non era il massimo e allora mi hanno detto di andare a piedi. Così ieri due ipovedenti e una minorenne si sono messi in coda a piedi tra circa 75 macchine. Per furtuna c'era il sole e per fortuna hanno incontrato alcune persone che con senso civico li hanno fatti superare...». Chiediamo se tra i sintomi del 16 ottobre e il tampone di ieri ci sia stata quache telefonata di "contact tracing". «Sì, una il 31 ottobre, 6 giorni dopo la positività: ci hanno solamente chiesto "ma voi siete tutti in isolamento, vero?"».

Il "doppio" tampone.

Il caso in val di Non. «Ho avuto sintomi lunedì 26 ottobre. Il giorno seguente, preoccupato, ho eseguito un tampone privato che ha dato esito positivo. Il giorno successivo mi è arrivata la chiamata dell'Azienda sanitaria che mi diceva se volevo prenotare un tampone. Ho detto che l'avevo già fatto ed ero positivo. Sorpresi, mi hanno detto che mi avrebbero richiamato per valutare la situazione. Più nulla».

"La preghiamo di restare in attesa".

Il caso in Valsugana. «Ho chiamato il medico di base giovedì 22 ottobre al manifestarsi della febbre. Il giorno successivo ha richiesto il tampone che è stato eseguito il giorno 28. Ho chiesto nel frattempo cosa fare e mi hanno detto di isolarmi con tutta la famiglia. Il 28 test rapido, positivo. Il medico mi ha detto che sarei stato chiamato dall'Azienda sanitaria perché per lavoro avevo avuto molti contatti nei giorni precedenti ai sintomi. Ad oggi nessuna telefonata, ho avvertito io più persone possibili ma ovviamente non potevo dire loro se erano a rischio o meno».

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