Il topo d'appartamento smascherato dopo 9 anni

Nove anni fa, al momento del maxifurto di gioielli e denaro da una casa di Trento, la polizia scientifica aveva rilevato delle impronte digitali, ma trovare il ladro era stato impossibile. Oggi, però, al malvivente che il 16 settembre 2005 svaligiò un appartamento in via Gocciadoro è stata data un'identità. È stato possibile grazie all'Unità delitti irrisolti della polizia

di Sergio Damiani

impronte digitaliUn mozzicone di sigaretta da cui ricavare il dna, un’impronta digitale, un qualsiasi reperto ancora conservato ma non studiato a suo tempo. Anche a distanza di molti anni le tracce lasciate dal colpevole sulla scena del crimine possono portare alla soluzione del caso. E così indagini rimaste «in sonno» per molti anni possono avere svolte improvvise.

 

Sono i cosiddetti cold case, titolo di una fortunata serie televisiva americana. Ora anche il Trentino ha il suo «caso freddo» risolto a nove anni dai fatti grazie a un’impronta digitale a cui la polizia è riuscita a dare nome e cognome.


Era il 16 settembre del 2005. La polizia era intervenuta in via Gocciadoro per un furto in appartamento. Un caso come tanti di difficile soluzione. Un malvivente dopo aver forzato la porta d’ingresso aveva fatto razzia all’interno dell’abitazione fuggendo con ori e denaro contante. Acciuffare il ladro, o i ladri, era come cercare un ago in un pagliaio.


Eppure all’epoca la polizia aveva fatto le indagini con scrupolo. La scientifica aveva individuato e repertato alcune impronte digitali che il topo d’appartamento aveva lasciato dietro a sé. Quell’elemento però all’epoca non era stato sufficiente per individuare il colpevole.


Per risolvere questo tipo di casi è stata creata l’Unità delitti irrisolti (Udi) della polizia di Stato. Grazie soprattutto a nuove metodologie di indagine e alla possibilità di comparare grandi quantitativi di dati raccolti, l’Udi ha scritto la parola fine su molti gialli classificati come irrisolti.


Tra questi a buon diritto possiamo inserire il cold case di Gocciadoro, anno 2005. Grazie alla comparazione delle impronte digitali si è scoperto che il topo d’appartamento era in realtà un baby ladro. Il responsabile, un ragazzino nomade, aveva all’epoca 13 anni e dunque non è imputabile. Da un punto di vista giudiziario dunque il procedimento non avrà particolari sviluppi.


Per il cittadino è comunque un segnale positivo: le sue denunce non restano a impolverarsi negli archivi, ma in qualsiasi momento possono essere «scongelate».
In questo modo le forze dell’ordine hanno risolto casi anche clamorosi.

 

Tra i primi successi dell’Udi c’è stata l’individuazione di mandanti e killer di un’imprenditrice uccisa da una fucilata nella sua azienda  florovivaistica in provincia di Nuoro. Essenziale è la corretta conservazione dei reperti.

 

Giusto un paio di anni fa la Squadra mobile di Trento era arrivata vicina alla soluzione di uno dei più celebri gialli cold case nostrani: il delitto De Cia. Individuato oltre 20 anni dopo l’omicidio il possibile assassino, non si era riusciti ad incastrarlo perché non è stato possibile fare una comparazione del dna: i reperti del delitto, infatti, sono andati distrutti.

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