#trentoègiovane, la lettera di Andrea Coali

#trentoègiovane, la lettera di Andrea Coali

#trentoègiovane

 

Non è la prima volta che scrivo sul tema della “movida” trentina: l’anno scorso, in occasione della notte bianca, scrissi assieme al mio migliore amico una lettera proprio a questo giornale in risposta a due signori trentini che si lamentavano per il caos generato dall’unica notte animata in quel di Trento. Mai avrei immaginato di veder realizzato uno scenario come quello che si sta aprendo in questi giorni.
Proprio oggi, 2 dicembre 2012, è uscita la classifica de “Il Sole 24 Ore” sulla qualità della vita e Trento si è classificata prima. Partiamo da questo presupposto: vivere a Trento è come abitare in un’isola felice, sotto molti punti di vista. Il mio lavoro mi permette di conoscere persone che provengono da ogni angolo d’Italia ed effettivamente, scambiando opinioni, mi rendo conto di come la nostra città sia meno colpita da molte difficoltà presenti negli altri abitati (rifiuti, ordine pubblico, trasporti, sanità e chi più ne ha più ne metta). C’è però una piccola incongruenza in questo paradiso: negli ultimi anni Trento è rinomata anche per la presenza del miglior ateneo d’Italia, ma non riesce in alcun modo a fregiarsi del titolo di città universitaria. E questo perché Trento è, fondamentalmente, una città dalla mentalità vecchia. Vi spiego meglio con un esempio: sono stato a Molfetta per una partita di campionato e, dopo il match, sono uscito con un mio ex-compagno di squadra per il centro della cittadina pugliese. Siamo stati in un pub, tra l’altro aperto fino a tarda notte, dove ho conosciuto alcuni molfettesi. Durante le normali chiacchiere siamo arrivati anche a parlare della mia città e ne ho approfittato per descrivere la recente chiusura della Cantinota. Inutile dire che ne sono rimasti esterrefatti. Mi hanno spiegato che da loro, la vita notturna, anche nel centro, inizia non prima delle 22-23 di sera: da noi alle 23.30 è già tanto se si vedono due bar aperti in centro, per dirne una. Uno di loro mi ha anche riferito che una volta a settimana, nella zona dove lui abita, si tiene un karaoke che tira avanti fino alle 2 di notte, ma nessuno dei residenti osa lamentarsi per l’orario così protratto. Ah, piccola nota: colui che mi ha detto ciò non ha 20 anni, ma 35.
Parlando di una realtà più vicina a noi si può invece citare Verona, la città in cui vivo ora. Anche qua la presenza di universitari è molto forte, ma, a differenza di Trento, possono vivere tranquillamente la loro vita notturna: ci sono appuntamenti fissi il mercoledì e il giovedì in locali in prossimità del centro, pub e discopub pieni zeppi di gente che passano in allegria la loro serata, senza preoccuparsi di eventuali assurdi richiami. E stesso discorso si può fare per il centro città, con le due piazze principali (piazza Bra e piazza Erbe) popolate sino a tarda ora.
Ora, io non ritengo possibile un drastico cambiamento di mentalità poiché, si sa, noi trentini non siamo di certo famosi per la nostra espansività. Ma ritengo che un po’ di sana autocritica e una maggior apertura mentale non possano che giovare alla città. Un centro città vivo, popolato da ragazzi liceali e universitari è sicuramente preferibile ad uno spettacolo desolante fatto di vie deserte e serrande abbassate. Non è possibile vedere una città che si definisce universitaria, deserta dalle undici in poi. Non è possibile vedere uno dei pochi anzi, uno dei due, discopub raggiungibili a piedi venir chiuso così arbitrariamente.
Quello che vorrei che cambiasse a Trento è l’atmosfera: vorrei che i ragazzi trentini, ma soprattutto gli studenti che vengono da altre regioni, smettessero di definire la nostra città come morta. Vorrei che ci fosse un centro città vivo, popolato: un centro fatto di musica all’aperto nei periodi estivi, di locali che invitano ad entrare per un drink in compagnia, di eventi organizzati per il popolo giovanile, di bar che non chiudono alle 23. Insomma un centro animato da quell’atmosfera vitale che ti invoglia a viverlo in tutte le sue sfaccettature. Ciò che invece non vorrei più vedere sono casi di sequestro di locali per un reclamo di pochi. Vorrei che si discutesse tutti assieme: ragazzi, residenti più adulti, commercianti, musicisti; tutti assieme per capire come rendere Trento una città viva sotto ogni punto di vista e sempre nei limiti del rispetto delle libertà altrui e del vivere civile.
Quello che non vorrei vedere è una ghettizzazione in qualche luogo periferico: sarebbe del tutto controproducente. Svuotare il centro città dalla sua linfa vitale, le persone che lo popolano, significa non dare un’anima all’abitato. Significa aver paura a percorrere le vie centrali perché sono deserte. Significa fare della nostra città, una città noiosa.
Il dibattito che si è aperto in questi giorni è un’occasione per dare una svolta a questo problema. Vediamo di sfruttarla perché #trentoègiovane (nel suo profondo).
 

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