Truffa ricette, 3 condanne 11 imputati assolti

di Chiara Zomer

«Forse ci sarà stato qualche errore, ma qui si usano i cannoni contro i piccioni». La metafora è dell’avvocato Bruno Mellarini, usata ieri in arringa nel processo sulla presunta truffa all’azienda sanitaria. Ma deve averla condivisa anche il collegio, presieduto dal giudice Carlo Ancona (a latere Michele Cuccaro e Consuelo Pasquali), visto come sono andate le cose.


Perché nel processo a carico di 4 farmacisti della de Probizer di Villa Lagarina e 8 medici lagarini, il grosso dell’impianto accusatorio non ha retto. Le imputazioni erano pesanti: concorso esterno in associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Un raggiro da 300 mila euro, per un danno (chiesto dall’Azienda sanitaria) di 800 mila. È andata a finire diversamente: per tutti è caduta l’accusa di associazione; dei 12 imputati, in tre sono usciti dal tribunale con una condanna: il titolare della farmacia, Paolo De Probizer (per un solo capo d’accusa, pena di 1 anno e 6 mesi, mille euro di multa) e due medici, Francesco Lunardi assistito dall’avvocato Cristina Luzzi e Alexander Gutman con gli avvocati Marika De Carlo e Bruno Mellarini: per entrambi un anno e un mese, 600 euro di multa.

I tre sono chiamati a risarcire l’Azienda sanitaria dei danni, da quantificare in sede civile. Per ora c’è solo una provvisionale di 25 mila euro. Tanto che l’avvocato Paolo Dal Rì e Nicola Degaudenz, difensore della famiglia De Probizer, pur annunciando appello è evidentemente soddisfatto: «Restano in piedi solo pochissimi episodi, che siamo sicuri di poter smontare in appello».


L’ipotesi accusatoria è nota: la farmacia De Probizer avrebbe gonfiato il fatturato, grazie alla complicità di otto medici, che avrebbero compilato ricette a pazienti ignari o - in alcuni casi - deceduti. Il meccanismo, ha ribadito ieri in aula il pm Fabrizio De Angelis, sarebbe stato quello di chiedere rimborsi su medicine di fatto mai vendute.

A ciò si aggiunga la pratica degli anticipi: medicine cioè date a malati cronici senza ricetta (veniva inviata il giorno dopo) e senza farli pagare. Due gli elementi su cui ha insistito la procura, a sostegno della tesi: la riduzione del 20% del fatturato della farmacia, dopo le prime perquisizioni, e l’anomala quantità di farmaci buttati in quel punto vendita, rispetto alla media del Trentino. Per questo il pm ha chiesto la condanna sia di Paolo De Probizer che delle due figlie, Eleonora e Maria Luisa, oltre che del dipendente Tareck El Banna, nei guai pure per falso e esercizio abusivo della professione medica, in quanto trovato in possesso di un ricettario in bianco firmato. Quanto ai medici, sarebbero stati conniventi. Ieri le difese hanno risposto. Ognuna, rigettando le accuse.

Partendo dalla farmacia, l’avvocato Dal Rì è partito dal fatturato, «calato del 20% perché quell’anno è stato chiuso il dispensario di Nogaredo», è passato dai presidi «ci si ostina a guardare le autorizzazioni, basta vedere le fatture per capire che i De Probizer hanno chiesto solo il rimborso di quanto dovuto» e poi è arrivato all’ipotesi di truffa sui farmaci: «È la matematica a dire che non è possibile - ha osservato - la De Probizer gestiva 60 mila ricette l’anno, significa 120 mila scatole. Se, come sostengono accusa e parte civile, il 20% del fatturato fosse gonfiato, nei bidoni avrebbero trovato camion di farmaci buttati. In realtà, dopo 2 perquisizioni e 4 svuotamenti sono state trovate 24 scatole».


Infine, sul guadagno: «Se uno vuole truffare lo fa sugli antibiotici, per cui c’è un ricarico del 10%, equivalente a poche decine di centesimi, o lo fa spingendo ad acquistare prodotti omeopatici, dove c’è un ricarico del 70%? Questa farmacia gestisce 500 scatole di farmaci a cui si aggiungono 500 scatole di prodotti da banco al giorno, ci lavorano in sei. Qualche errore può essere capitato. Ma qui non c’è truffa». Quanto ai medici, hanno ribadito tutti la stessa tesi, pur con sfumature diverse: i farmaci erano stati prescritti a pazienti a cui servivano. In caso di ricette multiple il problema è derivato dall’avvio delle ricette elettroniche, all’inizio non esattamente funzionanti. E quanto ai pazienti deceduti, si sarebbe trattato di omonimia. Come detto, la tesi ha convinto. Tranne che nel caso di Lunardi e Gutman. Fin qui il primo round. Pressoché scontato l’appello.

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