Stalking, nonna nei guai per i gatti senza bon ton

L'ha denunciata la vicina, i sette mici sotto accusa

di Nicola Guarnieri

Lo stalking? Possono causarlo anche i gatti. Già, proprio i felini domestici, o micioni che dir si voglia, che «riscaldano» la casa con fusa e miagolii (soprattutto nel freddo inverno e nel periodo che accompagna al Natale) tutt'altro che sinistri. Che male possono fare? Molestare i vicini, per esempio, e non certo per la caccia alla pappa fuori ordinanza dimenticata sul tavolo dallo sventurato di turno ma a causa di quello scarso controllo degli sfinteri che, in genere, non si riscontra nelle tenere bestiole pelose da divano quanto piuttosto in quelle selvatiche.

Premessa a parte, in tribunale sono finite due anziane vicine di casa che di andare d'accordo proprio non ne vogliono sapere. Siamo in un paese dell'Alta Vallagarina, un piccolo centro in cui ci si conosce tutti e dove, tendenzialmente, si cerca di convivere e condividere senza farsi la guerra. In questo caso, purtroppo, non è affatto così. Tant'è che la bega - che, per inciso, dura da ben dieci anni - ha coinvolto anche gli inconsapevoli gattoni, chiamati in causa per il loro inesistente bon ton e per l'incapacità di affidare i propri scarti organici alla lettiera anziché alle scale del condominio o al giardino comune. Fatto sta che questo modo incivile dei felini della dirimpettaia (sono ben sette i gatti in questione) di «firmare» con i propri bisogni liquidi e solidi gli scalini in prossimità dell'appartamento di una delle due contendenti ha creato quello stato di malessere e agitazione sfociato, appunto, in una denuncia per stalking. Non certo accuse leggere, quindi, anche se, ahimè, non si possono portare in aula, per testimoniare, gli ignari protagonisti dello scontro tra vicini umani che si odiano. Anche perché sarebbe un'impresa titanica convincerli a stare fermi alla sbarra e ancor di più tradurre i «miao» delle loro risposte.

La signora che ha denunciato l'ex amica, tra l'altro, contesta a quest'ultima di aver trasformato scuri di casa e muri in disdicevoli tazebao per scritte ingiuriose (per altro tracciate su foglietti e quindi non imbrattando l'edificio) in cui lanciava all'avversaria epiteti tutt'altro che edificanti come, scegliendo i più «soft», «suina e befana». E ancora: «La scopa si addice a una befana come te». Infine, nel capo d'imputazione è finita pure una frase che difficilmente si può riferire all'imputata visto che, oltre ad essere un «evergreen» dei muri di tutte le italiche città, si rapporta malamente al contenzioso in corso: «W la f...a», più adatta ad un adolescente con pruriti ormonali che ad una donna ben oltre le sessantina. 

Queste offese, comunque, riguardano l'imputazione di ingiuria mentre gli insulti verbali e, soprattutto, le azioni «vandaliche» dei sette gattoni sporcaccioni integrano lo stalking. Il braccio di ferro ben poco ortodosso, come detto, va avanti da un paio di lustri. E a gennaio, quando si celebrerà il processo, toccherà al giudice Michele Cuccaro stabilire se davvero in quel paese lagarino si sia consumato il reato di stalking attraverso l'attività di felini domestici. Che il codice penale, per altro, punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Motivo? Perché «le condotte reiterate, le minacce o le molestie cagionano un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero ingenerano un fondato timore per l'incolumità o costringono ad alterare le proprie abitudini di vita». Ed è quanto lamenta la querelante.

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