Economia / La crisi

Si è chiusa l’era «Bont», 70 anni nel commercio: Tavernini ha ceduto la licenza dello storico punto

Il primo cliente nel 1954 è stato lo spazzino che acquistò tre pacchetti di Nazionali e l’ultimo il macellaio sardo che ha comprato Merit. Tanti aneddoti, turisti da tutto il mondo e il cliente prima di tutto

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di Stefano Parolari

RIVA DEL GARDA. Un’attività commerciale durata 70 anni è una perla d'Amarcord che non potevamo lasciarci sfuggire. Dietro c'è la storia di due generazioni della famiglia Tavernini di Arco, che hanno incontrato migliaia di clienti di tutto il mondo e di cittadini della "Busa" nella loro accogliente, variopinta e diversificata offerta di vendita e distribuzione dei prodotti editoriali, promozionali, turistici, anche da autentico bazar del popolo.

Nel centrale Viale San Francesco a Riva del Garda, a pochi passi dal lago più bello e ospitale d'Italia. La fondazione spetta all'indimenticabile Fabio Tavernini, precisamente il 29 aprile del 1954, che avviò l'avventura aziendale nel giorno del suo 31° compleanno, acquistando la licenza dalla sorelle rivane Samuelli, mentre la chiusura della lunga «cavalcata» imprenditoriale è spettata al figlio Mauro qualche settimana fa, un solido e affidabile classe 1960, con il rogito dal notaio firmato il 30 novembre per il passaggio di consegne ad una giovane coppia di gardesani, pronti ad ereditare un patrimonio di contatto con il pubblico e di rapporti sociali infiniti.

Sono i «Bont», questo il soprannome di Fabio e Mauro - nel Basso Sarca ce ne sono a bizzeffe - finirono anche loro nelle discendenze da nickname per via del trisnonno Abbondio, che abbreviato prima divenne «Bond» e poi «Bont». In quel '54 Fabio aveva lasciato papà Massimo nella gestione della trattoria "Torino" in via Bettinazzi in centro storico ad Arco per aprire la nuova impresa nella vicina e «nemica» Riva (da sempre il campanilismo era piuttosto acceso in un territorio che ora è l'Alto Garda ormai assemblato in una capitale del turismo sportivo e alberghiero). L'affiatata moglie Pierina Pederzolli, romarzollese di Chiarano, lo seguì senza paura.

Nel 1981 ecco che Mauro arrivò a dar man forte (nel 1995 divenne titolare assoluto), visto che dalle 6.30 alle 20, quasi un giorno intero, il negozio dei «Bont» era in pieno fermento. E già la figlia di Fabio, Lorenza, moglie del professore di matematica Fattorelli, era lì con i genitori. E poi dopo il matrimonio ecco Manuela che si è alternata e affiancata a Mauro fino al 30 novembre. Una potenza familiare dei «Bont» schierata al servizio di chiunque, oltrepassata la soglia, rimaneva incantato da giornali, biglietti della lotteria, libri e soprattutto gialli - thriller intensi la gran passione del Mauro sul tipo «Il silenzio degli innocenti» -, souvenir di ogni foggia, mappe del Garda, ninnoli, statuine ed effigi, giocattoli. Insomma i Tavernini hanno incontrato centinaia di rappresentanti per abbellire la loro offerta.

La Riva degli anni '50. Il primo e l'ultimo cliente. Fabio è stato uno dei portieri della grande Olivo Arco (del pallone parliamo più avanti) e ha una sfrenata passione per la caccia. Logico che tanti frequentatori del negozio siano i suoi amici calciatori e gli amanti delle doppiette. Di fronte non c'era ancora l'Orvea (oggi saponeria) ma un'officina perchè sempre nei pressi, sul viale, c'era la stazione delle autocorriere.

«Il suo primo cliente - racconta Mauro - è stato quello che adesso è l'operatore ecologico e allora era lo spazzino. Comprò 3 pacchetti di sigarette «Nazionali» sciolte. E prima di abbassare la serranda cosa ho fatto io? Ho venduto l'ultimo pacchetto di Merit al macellaio sardo di Varone. Un segno del destino? Una simpatica, meglio dire, chiusura del sipario. Loro, Fabio e Mauro, erano fatti così, goliardi e ironici, professionali e simpatici. È sempre stato un piacere entrare nel loro negozio, però preferibile appellarlo l'attività delle mille meraviglie informative e giocose.

Qualche anedotto buttato lì. «Mamma Pierina - ci ha detto Mauro - mi raccontava con piacere la gaffe con un cliente straniero dai splendidi capelli biondi. Parrucchino da favola. Come sta bene, disse mamma, con quei capelli finti. E lui: motivi da copione e viso tirato. E lei: ma sta benissimo ugualmente. E saccheggiò per bene ricordini e immagini di Riva. E il ritornello di tantissimi: scusi dov'è il lago? E gentilmente tutti noi - precisa Mauro -: 100 metri più avanti, la Rocca e lo specchio d'acqua più incantevole d'Europa. Quella coppia di italiani con la moglie che stava comprando il Corriere della Sera. Il marito le disse: "Ah, spesa inutile, domani è già roba vecchia".

«Quante ne avrei - chiosa Mauro - io non ho mai rifiutato un commento, a domanda risposta anche alla più banale o insensata richiesta. I "Bont" sono sempre stati così, il contatto con il pubblico era come il Vangelo nella Bibbia».Momenti anche di tensione, per quella rapina epocale. Nell'estate del 1991, in un Alto Garda falcidiato dalle rapine da Dro alla Valle di Ledro, una delle tante commesse dei Bont - e sì il lavoro era a tamburo battente in una Riva capitale del turismo planetario - si recò, a qualche centinaio di metri da viale S. Francesco, in banca, alla Cassa di Risparmio, per depositare un incasso. Quella mattina una delle bande più sanguinarie e spietate d'Italia, quella bergamasca della Val Cavallina specializzata anche in sequestri di persona e in imprese criminali efferate, alle 10.15 assaltò l'istituto di credito rivano.

«Ho ancora negli occhi lo sguardo terrorizzato - rammenta Mauro - della mia dipendente. Era all'interno quando un malvivente è saltato sul tavolone dello sportello ed è stato freddato con un colpo preciso allo sterno da una guardia giurata, che era lì in borghese con la pistola d'ordinanza. Panico e proiettili che fischiavano. Mi sono precipitato dal negozio alla banca: mentre dentro era scoppiato il finimondo, ma nessun colpo aveva raggiunto persone innocenti, arrivato ai giardinetti antistanti ho visto il secondo cadavere».

«Il primo bandito era stramazzato tra i primi computer, carte e soldi, mentre davanti a me c'era, stecchito (non si è ancora capito da chi, probabilmente era ferito, stava agonizzando o il complice fuggito, poi arrestato a Milano al Niguarda, lo aveva finito, ndr) il famigerato Amadio Bettoni detto "Mentone" (la Mobile di Bergamo l'aveva definito uno dei più pericolosi rapinatori d'Italia, ndr). Ho abbracciato la mia commessa, tremava come una foglia. Mi sembrava di vivere in un film o in un passaggio eletrizzante dei miei gialli preferiti».

Un fatto di cronaca nera epocale per quei tempi in una Riva sconvolta, in pieno boom turistico. La passione sportiva del Fabio e del Mauro. Passiamo a ricordi più gradevoli. L'orgoglio di Mauro è stato il papà Fabio che, oltre ad introdurlo al lavoro di bottega e poi di vera industria delle delizie promozionali, è stato nell'immediato dopoguerra uno dei mitici portieri dell'Olivo Calcio di Arco, in tempi in cui la società dei grandi dirigenti Tamanini, Moratti, Spisani e Torboli trionfò nel campionato ufficiale dell'annata 1946-47.

Fabio "Bont" aveva un fisico eccezionale. Mauro ha letto poi con dovizia il libro sulla storia ultrasecolare dell'Arco, che ci onoriamo di aver scritto con il prof. Sandro Parisi e Ivo Bertamini. Fabio definito il gigante della porta arcense, «che abbandonò il basket per saltare più in alto di tutti nell'area di calcio - si legge nell'opera - e disse che il colpo d'occhio del canestro mi servì per le uscite sui palloni alti. Nell'archivio gialloblù la rivelazione che Fabio nel '42 venne richiamato alle armi e fece 2 anni di prigionia («in Germania a coltivare patate»).

Tornò ad Arco, tra i pali come novello Jascin in tempi in cui le trasferte erano realizzate con i camioncini a carbonella e la maglie della squadra confezionate con la lana regalata dai genitori. Tavernini giocò l'amichevole prestigiosa nell'Arco di mister Lutterotti, il padre del grande Piergiorgio cervello del Trento in C1, con la Triestina di Nereo Rocco.«Papà - confessa Mauro - non mi disse mai se avesse avuto occasioni di diventare un n.1 professionista. Certo le doti c'erano. Poi accadde quello che accadde...».

Nel derby con la Benacense Riva (immaginatevi la rivalità) nel 1948 Fabio ebbe un terribile scatto di nervi è mollò uno sganassone all'arbitro. Radiazione, ritiro della tessera anche dopo l'appello federale. E Mauro? nei ritagli di tempo fece il corso arbitri (per passione e non per ripicca, ci mancherebbe) e per parecchi anni di domenica sgambettò in giubba nera, fischietto in bocca. I "Bont" grandi sportivi con la tempra e il carattere della conduzione aziendale. Interista fin nel midollo, con Mauro ci si intratteneva in negozio anche a parlare di pallone e di alte strategie agonistiche. «Mi fa un po' senso adesso non alzarmi all'alba - ci ha confessato Mauro - nella mia casa di Arco e dirigermi verso Riva per alzare le serrande. Sono in pensione, quasi non ci credo, dovrò abituarmi. Come tutti». L'epoca dei "Bont" è finita ma loro rimarranno.. in eterno.

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