Giovani / Passioni

Dalla sua Arco al Portogallo: Tosca Braus e il sogno di arbitrare la Serie A

La (quasi) 19enne, fresca di maturità al Gardascuola, è reduce dall’erasmus arbitrale a Cascais-Estoril. Dal settembre 2021 infatti è arbitro di calcio: «Il momento più forte? Il fischio di inizio, quando tutta la tensione del pre partita scompare e la mente si libera. È un percorso di crescita»

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di Elena Piva

ARCO. «Lascia perdere, sono discorsi da maschi». «Mamma mia quante storie, hai il ciclo per caso?». «Te la cavi bene per essere una ragazza». Chissà quante, di queste e tante altre frasi sessiste, Tosca Braus ha dovuto ascoltare tra un fischio d'inizio e un diverbio da sedare. Eppure la giovane arcense, 19 anni il 6 agosto, non ha alcuna intenzione di darla vinta ai maschilismi della disparità sociale: la sua sacca sportiva si è arricchita da alcuni giorni del Torneo Internazionale Ibercup a Cascais-Estoril, in Portogallo, dove ha arbitrato le partite disputate da esordienti (U13) e juniores (U19).

Dal settembre 2021 infatti, dopo il corso propedeutico della sezione Aia di Riva e Arco, è un arbitro di calcio a tutti gli effetti. A fine marzo 2023, mentre la preparazione per la maturità aleggiava già nell'aria, ha esordito nella categoria juniores. Dal 4 al 9 luglio, l'ultima soddisfazione: insieme ad altri 49 giovani è stata convocata per l'Erasmus arbitrale in terra portoghese. Terminato il liceo delle scienze applicate all'istituto Gardascuola di Arco, è pronta ora ad alternare le decisioni da prendere in campo allo studio universitario di bioinformatica.

Come e quando ti sei avvicinata al mondo calcistico?

«Ero piccola, mio nonno guardava le partite del Milan e così ho cominciato ad appassionarmi. Durante le vacanze al mare giocavo con gli amici a calcio. Date le mie scarse abilità, non sono mai riuscita a giocare a livello agonistico e mi sono focalizzata sulla danza e sulla pallavolo. Mi sono limitata a guardare le partite in tv sognando di diventare una calciatrice».

Cosa ti ha spinta a farne parte?

«Ho sempre trovato interessante e particolare la figura dell'arbitro e, al tempo stesso, non mi sentivo sufficientemente portata per diventare calciatrice. Un giorno, quasi per scherzare, mi sono iscritta al corso arbitri della sezione di Riva e Arco e da quel momento è iniziata la mia grande avventura. Intraprendere questa via è stato uno sprono alla mia timidezza, un mezzo attraverso il quale rafforzare la mia personalità».

Quali emozioni hai provato la prima volta arrivando in campo in divisa?

«Ricordo benissimo la mia prima entrata in campo: ero tremendamente in ansia, terrorizzata di fare una brutta figura. Grazie a David Kovacevic, portavoce della sezione e mio tutor sin dal corso di abilitazione, sono riuscita a fare una buona partita e, soprattutto, a farmi rispettare. Un mondo nuovo ovviamente, ma l'adrenalina che mi ha lasciato alla fine dei novanta minuti è stata stupenda. Non passa giorno in cui non mi ripeta di aver preso la decisione migliore il giorno dell'iscrizione ai corsi: mettersi in gioco ripaga davvero».

Ti sei mai sentita a disagio a fronte di un ruolo tradizionalmente maschile?

«Spesso mi capita di essere guardata male dai calciatori, anche se in realtà sono i loro genitori a lanciare occhiatacce dagli spalti perché vedono me, una ragazza, ad arbitrare la partita dei figli. Essere cresciuta una compagnia maschile, circondata da ragazzi, mi ha permesso di creare una corazza robusta. Le parole spiacevoli che mi vengono dette durante la partita mi scivolano addosso, questo aiuta ad allontanare la sensazione di malessere che ne potrebbe derivare. Nessuna ragazza dovrebbe sentirsi fuori posto ad avere una passione legata da una storia prettamente maschile».

Immagino per molti sia ancora sorprendente.

«Sì, le battute non mancano, ma ho ricevuto anche tanti complimenti per non essermi frenata o ritirata di fronte all'ostacolo del pregiudizio di genere. Le opinioni retrograde sembrano diminuire di anno in anno, ma temo non svaniranno mai del tutto se le prime a crearle sono le donne stesse. Durante il torneo in Portogallo mi sono resa conto che arbitrare le calciatrici non è più semplice. Le ragazze non mi accettano come loro pari, può sembrare paradossale ma ricevo più rispetto e considerazione dai ragazzi».

Qual è il momento che più ti stimola?

«Il fischio di inizio, quando tutta la tensione del pre partita scompare e la mia mente si libera per immergersi nella partita. Più che un lavoro resta una grande passione, non da tutti. Un percorso di crescita e maturazione personale».

C'è un episodio particolare?

«In Portogallo, durante una partita U16 femminile, due giocatrici hanno cominciato a litigare. Per dovere e abitudine, mi sono avvicinata nel tentativo di fermarle, tanto da mettermi nel mezzo e separarle. Il mio obiettivo era evitare che la situazione potesse precipitare e dare vita a conseguenze gravi per entrambe. Parlando, sono riuscita a farle chiarire e, quando si sono abbracciate, hanno incluso anche me nell'abbraccio. Ho provato una sensazione indescrivibile».

Hai da poco salutato il Gardascuola con gli esami di Stato. Cosa farai, ora?

«Mi sono iscritta all'università a Verona, frequenterò la facoltà di Bioinformatica ma continuerò anche con la mia carriera da arbitro sperando, prima o poi, di raggiungere la Serie A. È il mio sogno nel cassetto».

Cosa diresti ai giovani che vorrebbero diventare arbitri?

«Diventare arbitro è un'occasione bellissima, consente di intraprendere esperienze indimenticabili. Ritengo che l'aspetto più rilevante sia sentirsi parte di un gruppo, di una famiglia. Arbitrare non è un compito individualista, piuttosto un passaggio che ti indirizza verso straordinari rapporti di amicizia. Accrescere le competenze e imparare a dialogare con gli altri sono i punti cardine di ciò che richiede: essere un arbitro infatti non vuol dire lasciarsi insultare, ma creare ponti. Mi sono approcciata a questo ruolo con tante paure e titubanze, ora mi guardo indietro e vedo quanto ho raccolto in Portogallo, dove sono riuscita a tenere testa anche a una finale U10. In questi anni ho capito che nella vita bisogna credere in se stessi e a volte i sogni si avverano».

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