Nago / La storia

I novant'anni del Bepi, artigiano nell'anima: «Tutte le mattine all'alba mi metto all'opera in laboratorio»

L'omaggio a un personaggio amato che da oltre sessant'anni è una figura storica del paese. «Non esistono scarpe impossibili da aggiustare, se hai la mano, ripari tutto...», racconta mentre armeggia con mastice e suole. «Ah, quanto lavorare, ma son capace come una volta, perché smettere?»

di Elena Piva

NAGO. Alle 5.30 del mattino, mentre il paese è ancora sognante, il "Bepi" chiude la porta di casa alle sue spalle e lascia entrare l'alba nel suo angolo di paradiso: a novant'anni compiuti il calzolaio Giuseppe Bertoldi di Nago si reca ogni mattina nel suo laboratorio e, fino al tardo pomeriggio, aggiusta scarpe, tacchi e sandali per amici e clienti sul Garda. Sebbene sia lo stesso dal 1961, il laboratorio del Bepi è ora un grande album di ricordi che ne incorniciano il lavoro tra storici incontri, ritratti ricevuti in dono e medaglie dei nipoti appese al muro.

«Mi piace avere quei momenti vicini», ha sottolineato, con l'immancabile mastice tra le mani, indicando lo scatto con la campionessa olimpica Sara Simeoni. Mentre siede davanti alla macchina di finissaggio, destreggiandosi tra vere e proprie torri di Pisa fatte di scarpe da riparare, i volti del paese lo intercettano sull'uscio della porta. Ciascun «ciao Bepi!», «ah buongiorno Bepi!» raccontano la vita e l'esperienza di un uomo divenuto pilastro della propria comunità. Persino lo scatto in cui è ritratto ammanettato (per finta, si intende) tra due carabinieri mostra questo legame: gli stessi infatti, anno dopo anno, trascorrono i primi minuti del loro servizio chiacchierando con il Bepi. Una foto che ama,e gli piace mostrarla ai bambini che, suonata la campanella di scuola, passano per un saluto e ne ispezionano l'operato.

«Alle 11 salgo a casa per il pranzo, ma alle 13 il lavoro mi chiama - ha specificato - resto fino alle 17, a volte di più se serve. Non sarei capace di stare con le mani in mano! Un calzolaio è per sempre: non mi sono mai annoiato, mi piace ciò che faccio. Non pensare si guadagni molto, eh! È la gente a renderlo bello, appassionante». Il senso di onestà e la professionalità lo hanno accompagnato nel tempo e hanno fatto di lui, agli occhi dei figli Gilberto, Alessandro e Mariuccia, un esempio di dedizione e determinazione.

«Nei primi anni mi alzavo alle 3.30 e tornavo a letto alle 22 - racconta - imparai i primi segreti del mestiere a 14 anni, nessuno in famiglia aveva mai lavorato in questo ambiente. Iniziai nella bottega di Riva al fianco di Giuseppe Armellini di Arco, il migliore calzolaio di quegli anni assieme a Gino Colò, altro noto calzolaio del territorio con il quale strinsi un patto: quando Colò aprì il laboratorio, promisi di lavorare cinque anni per lui e diventare poi il proprietario. Che tempi quelli, difficili: si facevano scarponi ogni giorno! Nell'artigianato bisogna mettere passione, altrimenti è bene cambiare strada».

Ad interrompere il racconto una turista tedesca di Malcesine, tornata a Nago per ritirare i suoi sandali tornati perfetti. «A volte mi chiedo cosa avrei fatto se fossi diventato pastore - ha ricordato il Bepi, con un'altra scarpa tra le mani - avevo 12 anni e seguivo mio fratello maggiore nella campagna di Nago. Durante la guerra, portare il bestiame al pascolo non era una passeggiata. Ricordo quando una bomba cadde a pochi metri da noi: uccise 26 capre, lasciandoci vivi per miracolo! Nel 1945 un soldato americano perse "la berretta" dal paracadute. Cinque anni fa arrivò il figlio in zona, durante le commemorazioni ai caduti americani e al colonnello Darby. Lo indirizzarono da me: gli consegnai la berretta e, commosso, mi chiese del mio mestiere». Così il Bepi raccontò dell'amore per il suo lavoro anche alla delegazione americana, dal periodo "sotto padrone" al 1959, quando aprì il negozio di vendita al dettaglio in via San Vigilio, la stessa in cui nel 1961 spostò definitivamente il laboratorio prelevato da Colò.

Grazie al supporto della moglie Iva, che sposò nel 1960, riuscì a portare avanti ambedue le attività.

«Non esistono scarpe impossibili da aggiustare, l'è 'na bala - dice tra le risate - se hai la mano, ripari tutto. Certo, le scarpe di oggi sono incollate di un male che neanche immagini. Comunque, in venti minuti scollo la suola dalla scarpa, ne gratto la superficie e rimetto il mastice».

Il primo giugno 2008 la Provincia Autonoma di Trento gli conferì l'attestato di riconoscimento «per aver contribuito a costruire, con il proprio lavoro e con la fedeltà alla propria impresa, quella solida base su cui poggia la grande forza dell'artigianato e per essere esempio trainante per i giovani che vogliono intraprendere un'attività artigiana».

Tra loro il nipote Samuel Bertoldi, trentunenne che all'età di 22 anni ha aperto «El Calier» a Cecina, laboratorio artigianale che unisce la tradizione calzolaia alla creatività contemporanea. «Ah, quanto lavorare - ha aggiunto - ma son capace come una volta, perché smettere? A quello ci penserà il Signore».

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