Emigrati / L’intervista

Un prof trentino all’Università di Glasgow: la carriera del perginese Michele Sevegnani

Dopo la laurea a Povo e gli studi a Berkeley e Cambridge, insegna informatica teorica e “sicurezza”: «Da studente avevo il desiderio di andare all’estero per migliorare il mio profilo accademico e imparare bene l’inglese. Sono rimasto in Scozia per lavoro e qui ho conosciuto Rim, mia moglie»

TENERIFE La storia dell’informatico trentino Daniele Sirianni 
MELBOURNE Guglielmo Gottoli, dal Trentino per guidare gli universitari 
STORIE Le interviste dei trentini all'estero 
SYDNEY 
Da Roncone per fare la personal trainer, Martina Corradi

di Nicola Marchesoni

PERGINE. Si è laureato a Povo, ha studiato in due atenei famosi nel mondo, quello di Berkeley in California e a Cambridge, ed ora insegna all'Università di Glasgow. È una carriera davvero strepitosa quella del perginese Michele Sevegnani, 39 anni. Dalla Scozia, dove vive dal 2007, si racconta all'Adige (in collaborazione con Mondo Trentino). Una scelta la sua - quella di emigrare alla ricerca di opportunità che in Italia difficilmente avrebbe avuto - di cui è felice.

Michele, ci racconta qual è stato il suo percorso formativo e professionale?
Dopo la maturità scientifica al Liceo Galilei di Trento ho studiato informatica a Povo. Durante l'ultimo anno ho partecipato ad un programma di doppia laurea con l'università di Edimburgo in Scozia. Ho poi vinto una borsa di dottorato all'università di Glasgow e nel 2013 una borsa personale (Fellowship) di tre anni che mi ha permesso di cominciare la carriera di ricercatore. Dopo aver fatto la gavetta con alcuni contratti di ricerca a termine ed aver passato dei periodi di formazione all'università di Berkeley in California ed a Cambridge in Inghilterra, nel 2018 ho vinto un concorso pubblico all'università di Glasgow per una posizione permanente come docente (Lecturer).

Come si lavora in un’Università del Regno Unito?
Personalmente mi trovo molto bene. Nel mio ruolo, a parte l'insegnamento e la supervisione di studenti, ho degli obblighi contrattuali per quanto riguarda il numero di pubblicazioni annuali e fondi di ricerca vinti. Non posso fare un confronto diretto con la situazione accademica italiana, in quanto la mia esperienza di lavoro è limitata alla sola Scozia. Parlando con dei colleghi in Italia, so che un docente in Regno Unito insegna in media meno ore per semestre. Questo permette di dedicare molto più tempo all'attività di ricerca. Un'altra differenza è il numero di studenti stranieri, molto più alto, soprattutto quello provenienti dalla Cina, che frequenta i nostri corsi. A volte la comunicazione con loro può essere complicata.

Cosa significa lavorare nello stesso tempo da ricercatore e da direttore di ricerca?
Il passaggio da ricercatore a docente comporta una transizione non semplice. Se prima dovevo occuparmi della ricerca in prima persona con la scrittura di articoli per le riviste scientifiche, l'esecuzione degli esperimenti, la scrittura del codice, adesso devo delegare la maggior parte di queste attività ai ricercatori che assumo per lavorare nei miei progetti. La mia attività principale consiste quindi ora nel gestire il mio gruppo di ricerca e nell'idea nuovi progetti per garantire un adeguato flusso di fondi che permetta di pagare gli stipendi a tutti i ricercatori del gruppo. All'inizio non è stato facile perché solo pochi progetti vengono effettivamente finanziati (meno del 20%) creando grande pressione. Inoltre, prima, non avevo mai avuto esperienza nella gestione delle risorse umane e delle relative problematiche. C'è poi un'altra cosa da dire.

Prego.
Dopo l'assunzione di solito è previsto un periodo di valutazione che dura dai tre ai cinque anni, durante i quali bisogna dimostrare di riuscire a raggiungere e poi mantenere i parametri per la promozione a Senior Lecturer, l'equivalente di professore associato nel sistema italiano. Io ci sono riuscito l'anno scorso. Il passo successivo è la cattedra da ordinario che di solito richiede dai sette ai dieci anni dal momento dell'assunzione. I criteri sono stringenti e variano a seconda dell'università.

In quale ambito di ricerca opera?
Mi occupo principalmente di informatica teorica, in particolare di metodi formali, delle tecniche matematiche che permettono di modellare ed analizzare sistemi complessi per accertarne per esempio la correttezza (assenza di bugs) oppure la resilienza ad attacchi malevoli. Uso principalmente processi stocastici ed un modello computazionale che ho sviluppato nel corso della mia ricerca chiamato bigrafi. In vari progetti, ho applicato queste tecniche a sistemi di realtà virtuale, internet delle cose (IoT), veicoli autonomi, controllo traffico aereo, sensori in agricoltura ed allevamento.

Cosa l'ha portata a lasciare l'Italia e puntare all'estero, quale motivazione?
Inizialmente, come studente avevo il desiderio di migliorare il mio profilo accademico e di imparare bene l'inglese. Poi sono rimasto in Scozia per una serie di coincidenze: opportunità di lavoro, prestigio del sistema universitario britannico, ma anche matrimonio. Nel 2015 ho conosciuto una ragazza libanese, Rim, che studiava urbanistica a Glasgow quando io ero ancora ricercatore. Ci siamo piaciuti subito e dopo un anno ci siamo sposati a Glasgow, con soli 15 invitati. Poi, l'anno successivo, per placare le rispettive famiglie, abbiamo fatto una festa in Libano e celebrato il matrimonio religioso al Santuario della Madonna di Piné a Montagnaga. Adesso abbiamo un bambino di quattro anni, Raffaele, e una bambina di 18 mesi, Anna.

Ha avuto difficoltà nell'inserimento nella società scozzese?
All'inizio ho avuto alcune naturali difficoltà di ambientamento dovute alla differenza di lingua e cultura ma sono gradualmente diminuite anche se faccio tuttora fatica a comprendere l'accento parlato a Glasgow. Mi sento ben integrato, partecipo alle elezioni locali e sono stato chiamato più volte come giurato in tribunale. I locali sono molto amichevoli ma la società rimane molto segregata e i residenti di zone diverse e quindi di differente ceto sociale raramente si mescolano fra loro. In città ci sono delle sacche di povertà assoluta che generano un disagio sociale difficilmente comprensibile da noi trentini. Personalmente, la maggior parte delle mie interazioni sociali avviene soprattutto con colleghi italiani.

Il sistema amministrativo e governativo scozzese è famoso per la sua efficienza.
Confermo. È però molto difficile generalizzare. Per esempio, la procedura per ottenere i documenti necessari per il matrimonio è stata molto facile e veloce, così come la pratica per l'acquisto della casa e l'accesso al credito bancario. Per una visita specialistica in ospedale abbiamo dovuto invece aspettare più di un anno. Vorrei aggiungere che sia il Comune di Pergine Valsugana che il consolato italiano di Edimburgo sono sempre stati efficientissimi nel fornirmi documenti o rispondere alle mie numerose richieste di assistenza.

Quali progetti ha per il futuro?
Il mio obiettivo nel breve termine è di ampliare il raggio d'azione della mia ricerca sia in ambito teorico che applicato. Per questo è essenziale riuscire a fare rete con altri gruppi di ricerca. Al momento collaboro attivamente con vari gruppi nel Regno Unito e all'estero soprattutto con l'Enac di Tolosa, l'istituto francese di aviazione civile, ed un gruppo di ricerca all'università Yang Ming Chiao di Taiwan. Mi interessano due aree in particolare: le implicazioni dovute all'uso dell'intelligenza artificiale per automatizzare decisioni in ambiti sensibili come per esempio in ambito bancario, assicurativo o durante indagini di polizia, e Human Robot Interaction, cioè lo studio delle interazioni tra un operatore umano e dei robot autonomi.

Sarebbe possibile, secondo lei, realizzare questo tipo di iniziativa con l'Italia?
Sono a conoscenza di alcune collaborazioni tra il Cnr(Consiglio Nazionale delle Ricerche) e la Royal Society di Edimburgo. Poi esistono iniziative simili finanziate dalla commissione europea. Tuttavia, la maggior parte di questo tipo di fondi, almeno in informatica, vanno a finanziare scambi con istituti in Asia oppure negli Stati Uniti. Sarebbe certamente bello se ci fossero più opportunità di questo tipo.

Come è cambiato, nelle piccole cose, il Regno Unito dopo Brexit? Quali le differenze rispetto a prima?
La spedizione di pacchi dall'Italia ha subito notevoli rallentamenti e spesso ora bisogna pagare delle tasse doganali. Purtroppo, sembra che certi prodotti non si potranno più spedire liberamente. Viaggiare per noi ore è più difficile in quanto mia moglie ha bisogno del visto per entrare in Italia ed io del visto per rientrare nel Regno Unito. In ambito lavorativo ho potuto constatare che il Regno Unito è diventato meno attrattivo, con molti meno candidati europei ai colloqui di assunzione per posizioni in università.

Che impatto ha avuto la pandemia sul suo lavoro e sulla sua famiglia?
Fortunatamente il mio lavoro e quello di mia moglie non hanno subito grosse ripercussioni in quanto liberi di lavorare da casa. Certamente all'inizio è stato piuttosto difficile riuscire a conciliare l'attività lavorativa con la cura dei bambini, ma con un po' di fatica ci siamo riusciti. Personalmente non mi è piaciuto affatto fare lezione in remoto. Un altro problema per chi come noi vive all'estero è stato quello di non poter vedere le nostre famiglie per mesi.

Vuole lasciare un messaggio ai trentini, in particolar modo ai più giovani?
Sono a disposizione di tutti coloro che mi contatteranno per rispondere alle vostre domande sulla Scozia o sul mondo universitario britannico.

comments powered by Disqus