Dall'Africa a Pergine per una nuova vita

Ecco come vivono quattro richiedenti asilo

di Giorgia_Cardini

Le loro storie sono uguali a quelle di migliaia di altre persone, sbarcate in Italia negli ultimi mesi. E nei loro occhi è impressa la memoria di un viaggio durato troppo e troppo difficile. Un viaggio da mettersi alle spalle, per costruirsi una vita nel segno della «normalità». La nostra «normalità»: una casa calda, la spesa da andare a fare ogni giorno, la scuola da frequentare, i bambini del servizio Pedibus da riaccompagnare a casa, una bici da inforcare per spostarsi e andare a lavorare, serate da passare davanti alla televisione, gente da incontrare. È questa la nuova vita, tra Pergine e Trento, di quattro ragazzi che hanno lasciato l'Africa, fuggendo da una condizione economica senza sbocchi, ai limiti della sopravvivenza, e da tensioni politiche importanti.

Dal 17 dicembre vivono in via delle Nazioni Unite, a Canale di Pergine, all'ultimo piano di una palazzina di tre appartamenti: sotto, due coppie trentine; sopra loro, in una mansarda rivestita di perline. Un soggiorno-cucina dotato di tutto il necessario, un bagno, due camere arredate con semplici letti in ferro, cassettoni e armadi.  Tutto pulito, tutto in ordine, come richiede il «patto» fatto di diritti e doveri che i richiedenti asilo devono firmare entrando nel progetto di accoglienza del Centro Astalli, che li segue da quando sono usciti dal campo profughi di Marco di Rovereto. A Canale i ragazzi sono stati dapprima «salutati» dalla raccolta di firme organizzata dalla Lega nord, poi accolti per davvero da una rete di associazioni e singoli che si stanno dando da fare per aiutarli a integrarsi.

Così Samba , che ha 23 anni e arriva dal Mali dove faceva il contadino, oggi può dire: «Qui mi trovo bene e sono contento, perché ho trovato molte persone buone». Un'economia stentata lo ha spinto a partire nel 2012, ma in Italia è arrivato solo nel 2015, perché prima si è fermato in Libia dove la «Primavera araba» aveva alimentato qualche speranza di cambiamento e lavoro. Ma la sanguinosa guerriglia provocata dalla caduta del regime di Gheddafi, senza la costruzione di una vera alternativa, l'ha spinto a ripartire, su una barca, alla volta della Sicilia, come quasi tutti gli altri suoi compagni. Ora passa le sue giornate occupandosi della casa: «Ma vado a scuola di italiano a Trento dalle 11 alle 13 e poi, quando torno, alle 16 vado a prendere i bambini fuori da scuola». Dal 18 gennaio, infatti, tra gli operatori del «Pedibus» organizzato alle elementari «Don Milani» di Pergine, ci sono anche tre volontari, tre richiedenti asilo che accompagnano a casa gli scolari che usufruiscono del servizio.

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Oltre a Samba, a dare una mano nel «Pedibus» è anche Karamo : ha 32 anni, viene dal Gambia ed è arrivato in Italia nel dicembre 2014. Karamo ha giornate fitte: studia italiano a Trento, ma svolge anche un tirocinio in un ristorante di Pergine, dove lavora quasi sempre il pomeriggio-sera. Per questo i volontari del Centro Astalli gli hanno procurato una bicicletta, con cui può muoversi autonomamente tra casa, scuola e lavoro. Ha una risata contagiosa, «batte il 5» e i bambini del «Pedibus» l'hanno subito preso per mano, il primo giorno.

Moussa e Idrisa, gli altri due compagni di casa, invece vanno a scuola: frequentano la terza media del centro Eda (Educazione degli adulti), presso l'istituto superiore Marie Curie di Pergine. Moussa ha 28 anni, viene dal Senegal, parla bene la nostra lingua e dalle sue parole si capisce quanto contino le date, in certe situazioni: «Sono partito dal Senegal il 29 maggio 2013 e sono arrivato in Italia il 17 novembre 2014 - ricorda -, perché ho dovuto attraversare molti Paesi, fermandomi a lavorare ovunque per pagarmi i tratti seguenti di viaggio». Dal Senegal alla Mauritania alla Libia, poi la solita barca e il solito approdo, a Lampedusa: «Ci sono stato solo un giorno, però, poi mi hanno mandato subito a Marco dove ho passato 4 mesi». Anche lui, come i suoi coinquilini, dal campo alla periferia di Rovereto è stato trasferito a Miola di Pinè, nel garnì «Villa Lory». «Mi sono trovato bene lì e mi trovo molto bene qui - dice -, ho amici italiani che mi vogliono aiutare a restare».  In Senegal Moussa faceva il commesso, prima di diventare apprendista elettricista. Poi ha lasciato i genitori, il fratello e la sorella ed è partito. Tutti questi ragazzi hanno lasciato le famiglie di origine, nessuno la moglie e i figli: «Quando siamo arrivati qui, a Canale, molti erano contrari. Adesso va meglio, partecipiamo a riunioni pubbliche e ad altre attività serali».

L'ultimo a raccontarsi è Idrisa , 22 anni, appena rientrato da Trento con le borse della spesa: «Stasera cuciniamo cous cous con pollo e verdure». Pare il più timido e sorridere non gli riesce facile. «Vengo dal Mali - racconta - e sono in Italia da un anno. Studio anch'io al centro Eda». E com'è? «La matematica okay, ma l'italiano e l'inglese... difficili». Come tutti gli altri, anche Idrisa vorrebbe restare in Italia e trovare un lavoro qui. Cosa gli piacerebbe fare? «Tutto, farei tutto».

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