Giustizia / La sentenza

Batterio nel latte, condannati per lesioni l’ex presidente e il casaro del Caseificio di Coredo

A loro è stata comminata la pena di 2.478 euro di multa (la pena base di 1.239 euro, diminuita per le attenuanti generiche e aumentata del triplo), oltre al pagamento di tutte le spese processuali. Il giudice di pace si è invece dichiarato incompetente sulla domanda di risarcimento dei danni

IL FATTO Bimba di 4 anni in gravissime condizioni

di Flavia Pedrini

CLES. Sono passati sei anni e mezzo da quando la vita di un bambino e quella della sua famiglia sono state segnate per sempre. A mettere un primo punto fermo nella drammatica vicenda del piccolo che si era sentito male dopo aver mangiato formaggio contaminato da escherichia coli (un batterio contenuto nel latte crudo) è stato il giudice di pace di Cles, Daniele Bonomi. Alle 13.30 di venerdì 15 dicembre, al termine della camera di consiglio, ha letto la sentenza di condanna per lesioni personali gravissime a carico dell'ex presidente del caseificio sociale di Coredo, Lorenzo Biasi e del casaro Gianluca Fornasari, ai quali è stata comminata la pena di 2.478 euro di multa (la pena base di 1.239 euro, diminuita per le attenuanti generiche e aumentata del triplo), oltre al pagamento di tutte le spese processuali.

Il magistrato si è invece dichiarato incompetente sulla domanda di risarcimento dei danni: sarà il giudice civile ad occuparsene. Ora si dovranno attendere le motivazioni, ma il giudice di pace (competente per questo reato) ha di fatto accolto la richiesta di condanna della pm Federica Chesini e della parte civile, rappresentata dagli avvocati Paolo Chiariello e Monica Cappello (del procedimento civile si occupano invece Andrea e Massimiliano Debiasi), riconoscendo un nesso causale tra l'assunzione del formaggio "Due Laghi" - acquistato presso il Caseificio e contaminato dal batterio - e l'insorgere della terribile Seu, la sindrome emolitico-uremica, una infezione causata da alcuni ceppi di Escherichia coli, che ha provocato danni irreparabili nel piccolo, ridotto ad uno "stato vegetativo insanabile" come era emerso dalla toccante testimonianza del papà, Giovanni Battista Maestri, che in questi anni ha sempre ribadito: «Vogliamo sia accertata la verità su quanto è successo, perché non debba ripetersi mai più».

E proprio intorno al cosiddetto nesso causale , si è giocata la battaglia giuridica. Durante le repliche, la pm Chesini era stata netta, nel chiudere la porta a qualsiasi ipotesi alternativa, rispetto alla «certezza» che il formaggio mangiato dal bambino, ghiotto di "Due Laghi" - acquistato presso il Caseificio sociale di Coredo il 3 giugno 2017 come prova lo scontrino - appartenesse al lotto contaminato e finito sotto sequestro. Una contaminazione determinata dalle presunte violazioni e omissioni degli imputati sui controlli (nell'altro procedimento in tema di sicurezza igienico sanitaria era emerso come potesse accadere che il tubo collegato alla cisterna del socio conferitore toccasse terra e si sporcasse di letame, e che lo stesso tubo fosse poi posizionato nella vasche di raccolta a contatto con il latte).

Anche l'avvocato Chiariello ha ricordato come, a fronte di «prodotti a latte crudo intrinsecamente pericolosi», i controlli fossero stati assenti ed ha ribadito, forte di quanto emerso dalle consulenze prodotte dalla parte civile - le stesse che avevano fatto ritirare alla procura la richiesta di archiviazione - come non potessero esserci ipotesi alternative rispetto alle modalità con cui il piccolo aveva contratto l'infezione, ovvero l'assunzione del formaggio contaminato.

Il consulente della procura e quello della parte civile, pure seguendo percorsi diversi, sono arrivati alla stessa conclusione: la possibilità di errore, rispetto al fatto che la causa della malattia del bambino sia il formaggio, si ferma tra un 1 su un milione e 6 su un milione.

Una ricostruzione, come detto, contestata dalla difesa: «Non c'è alcuna prova certa», ha ribadito l'avvocato Forte, invitando il giudice a non seguire «suggestioni legate all'emotività» piuttosto che informazioni «fondate su prove. «Non ci sono dati che portino ad una conclusione certa nei confronti degli imputati», ha sottolineato. Ma per il giudice di pace, invece, le responsabilità di entrambi sono state accertate.

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