Giustizia / Il caso

Il tubo del latte usato anche in stalla, e poteva toccare il letame: un testimone inguaia il Caseificio di Coredo

Prosegue il processo per i gravi danni ad un bambino, secondo l’accusa intossicato dal formaggio contenente il batterio Esterichia Coli: in aula anche la preoccupante relazione dei Nas

COREDO. Con lo stesso tubo il latte veniva prelevato dalla stalla e scaricato nella cisterna all'interno del caseificio. All'epoca dei fatti non era prevista alcuna procedura per la pulizia di questo condotto, della lunghezza di 11 metri, che toccava terra e poteva sporcarsi anche di letame.

Un dipendente del Caseificio sociale di Coredo lo aveva detto ai carabinieri nel 2019 e lo ha confermato davanti al giudice: quelle erano le procedure della raccolta del latte che dalle stalle dei soci veniva poi conferito nelle vasche per la lavorazione.

Il processo in corso in tribunale a Trento è molto delicato perché riguarda non solo il rispetto nelle norme igieniche, ma anche e soprattutto la salute. Il caso del formaggio posto sotto sequestro per la presenza di Escherichia coli, batterio che si trova nel latte crudo, è arrivato in aula. Due sono gli imputati: il legale rappresentante del caseificio sociale di Coredo, Lorenzo Biasi, e il casaro responsabile del piano di controllo, Gianluca Fornasari.

Parte offesa nel procedimento è Giovanni Battista Maestri, il padre del bambino che era stato male nel giugno 2017 dopo avere mangiato formaggio prodotto con latte crudo (ad oggi ancora in cura). Formaggio che, secondo la ricostruzione dei carabinieri del Nas, era stato acquistato presso il caseificio. L'uomo si è costituito parte civile attraverso l'avvocato Paolo Chiariello.

In aula sono stati sentiti i testi della procura. Un maresciallo del Nas ha evidenziano alcune criticità rilevate nel corso dell'ispezione avvenuta nel marzo 2019 presso il caseificio sociale di Coredo: non era stato lavato il tubo in gomma di un'autocisterna prima delle operazioni di scarico del latte, mancava un tappeto o altro sistema per pulire le calzature degli autisti che accedevano al caseificio, non c'era a disposizione idoneo vestiario per chi entrava nell'area produttiva.

Dunque, nessuno si cambiava scarpe o indumenti o calzava dispositivi usa e getta quando passava dalle operazioni di stalla (per prelevare il latte) a quelle all'interno del caseificio (per il conferimento). Ciò che i carabinieri avevano rilevato nell'ispezione era già stato dichiarato a sommarie informazioni da un dipendente che, incalzato in aula dall'avvocato di parte civile Paolo Chiariello, ha confermato quanto contenuto nel verbale: poteva accadere che il tubo che veniva collegato alla cisterna del socio toccasse terra e si sporcasse di letame, e che lo stesso tubo fosse poi posizionato nella vasche di raccolta a diretto contatto con il latte, immerso anche per una settantina di centimetri.

È stato anche ricordato che dall'aprile 2018 l'azienda ha dotato i dipendenti di una curva di acciaio inox da appoggiare alle vasche affinché il tubo non venga più a contatto con il latte.

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