Cles, il primario cardiologo saluta tutti e va in pensione

I ricordi di Cornelio Bertagnolli

di Guido Smadelli

«Dall'Azienda Sanitaria ho avuto molto, così come dal territorio. Quanto fatto però è merito di molti, se non c'era la squadra non si riusciva a fare tanto, ed ho avuto la fortuna di avere sempre a fianco persone valide e capaci di adattarsi». Cornelio Bertagnolli, ormai ex primario dell'ospedale di Cles, non intende prendersi tutti i meriti, per i miglioramenti apportati negli ultimi anni, volti a favorire un servizio di qualità. Ora ha raggiunto il traguardo della pensione, anche se continuerà ad impegnarsi, da ottimo cardiologo qual è, nel servizio privato, al Centro salute di Cles e a Tecnomed a Trento. «Ma non sarà più lavorare 12-14 al giorno. Rimarrà tempo per altre cose». 
Cornelio Bertagnolli, 64 anni, ha seguito gli studi di medicina a Padova e Milano; dopo un anno di tirocinio, nel 1980 è medico internista all'ospedale di Cles, nel 1987 si trasferisce a Rovereto nella sua nuova veste di cardiologo, nel '98 approda al Santa Chiara di Trento, dove è aiuto primario, per tornare alle origini nel 2005, dopo aver vinto il concorso per diventare primario. 

«Mi sono trovato in un reparto dove le attrezzature erano prossime al minimo indispensabile, ma per garantire un servizio di qualità serviva di più», ricorda. «E con dei cambiamenti in atto, a iniziare dalla chiusura dell'ospedale di Mezzolombardo, il reparto era dimensionato per 55 mila residenti delle valli del Noce, l'utenza si è di colpo raddoppiata. Senza contare il turismo, bistagionale», continua Bertagnolli. «Cinque mesi di maggior affluenza l'estate, 4 mesi invernali. Come non bastasse, si è aggiunta l'accoglienza per patologie non tempo dipendenti dal Santa Chiara». L'allora neo primario inizia così la sua battaglia, per garantire le attrezzature indispensabili, e soprattutto rinnovare puntando ad una medicina d'avanguardia e dare risposte di qualità al pronto soccorso (di cui era responsabile), dove di pazienti ne giungono quotidianamente da 60 a 110. Battaglia che lo vede chiudere l'attività nel pubblico servizio con ampie soddisfazioni, e lasciare in eredità un reparto, e una squadra, all'altezza dei tempi e della richiesta dell'utenza. 

Sposato nel 1980 con Margherita (infermiera), Cornelio Bertagnolli ha tre figli: Livio, medico a Lipsia, Elisa, medico a Dusseldorf, e Massimo, che invece opera in Austria, occupandosi di centri di accoglienza per i rifugiati. 
«Ora avrò un po' più di tempo per fare un salto a trovarli», sorride Cornelio. E per curare qualche hobby, magari: «Di hobby veri non ne ho, quando lavori da mattina a notte non riesci a coltivarli. Mi piacerebbe fare qualche camminata in montagna, andare per funghi (beh, un hobby ce l'ha, è una buona forchetta, ndr), fare qualche viaggio, avere più tempo per dedicarmi alla lettura». Ma c'è anche un'attività che intende intraprendere in casa, dove la sua quasi unica attività è sempre stata l'accensione della «sua» stufa ad olle («non capisco perché se l'accende mia moglie fuma?»). 

«Mio padre era falegname, aveva rilevato anche le attrezzature di uno zio. Ho tutti gli attrezzi e i materiali in cantina, un vero museo della falegnameria, che ora ho intenzione di cominciare a riordinare e sistemare».
Insomma, tra il lavoro nei centri di medicina privati e i buoni propositi di tempo libero, non avrà di che annoiarsi. Alle spalle una carriera di vertice e di qualità, con la consapevolezza di aver sempre coniugato all'aspetto professionale quello umano. Con molti ricordi? «Certo», afferma l'ex primario. «Ogni tanto li guardo». In che modo? «Ho sempre conservato le lettere che i pazienti mi hanno inviato, moltissime. Ogni tanto ci davo un'occhiata, ne ho una cassetta piena. Avrò il tempo di riordinare anche quelle, e di ricordare i momenti legati a quei messaggi».

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