Castelfondo, chiude l'ostello: i profughi salutano «mamma Eleonora»

di Guido Smadelli

«Mamma molto gentile, mamma molto brava». Lo scrive in sms Alahage Sako, del Mali, 22 anni, uno dei circa 200 profughi ospitati all’Ostello «Madonna della neve», gestito da Eleonora Tait, che cura anche l’ostello di Trento. Il 31 marzo si chiude: ieri erano presenti ancora 53 profughi, oggi già sono solo 44. Destinati a degli appartamenti, dove attenderanno di conoscere la propria sorte - cioè se la loro richiesta di asilo politico, pratiche seguite da Cinformi sarà accolta. «Quest’esperienza mi lascia il segno, credo che quando chiuderemo le porte una lacrimuccia potrà scappare», ammette Eleonora Tait. «Per me è stata un’esperienza positiva, anche se onestamente non la avrei neppure voluta iniziare...».
Qui entra in campo la vita. Lei ha avuto in gestione l’ostello nel 2010, ma poco tempo dopo aveva chiesto al comune di poter risolvere il contratto: un grave lutto in famiglia, la malattia di un parente strettissimo... Niente da fare: il contratto va rispettato. Come non bastasse, arriva un’altra «botta»: l’ostello lavorava molto con una società sportiva bergamasca operante nel pattinaggio su ghiaccio. Buone presenze, discreti introiti, ma poi si apre un buco da 40 mila euro, e la citata società fallisce. Tutto in mano ai legali, chissà mai... In quel periodo si apre il capitolo «mare nostrum». Perché no, un’opportunità. Dopo i contatti del caso Eleonora Tait ne parla agli amministratori di Castelfondo (l’ostello è proprietà comunale): «Ho trovato immediata disponibilità», afferma. Si parte il 9 giugno dello scorso anno: una prima pattuglia di profughi centroafricani, poi in 9 mesi qui ne passano otlre 200 (capienza massima, 88), approdati sulle italiche sponde da Nigeria, Guinea, Ghana, Niger, Mali, Somalia, Costa d’Avorio, Senegal, ed anche da Pakistan e Bangla Desh (l’attuale gruppo più folto). Ragazzi di età media 20-25 anni, buona parte hanno subito in Libia prigionia e torture, tutti hanno attraversato il Mediterraneo sui famosi barconi o gommoni, in cerca di futuro. Tutti attendono una risposta (asilo politico), e sperano in una vita migliore.
Nel frattempo conoscono «mamma» Eleonora Tait: la persona di riferimento. Lei li veste, li guida, li sgrida, dà loro un castigo, ma li ascolta; pe tutti è «mamma». Ora vanno a vivere in appartamenti: ma grazie a «mamma» (oltre ad operatori di Cinformi ed altri collaboratori) hanno imparato, oltre alle basi della lingua italiana, le regole della nostra società. Dalle cose più semplici: i vetri alle finestre, che in villaggi africani non esistono, a quelle più complesse; le donne qui lavorano, hanno pari dignità (per legge: poi non sempre è così...).
«Abbiamo lavorato per dar loro gli strumenti essenziali per vivere qui», conferma Eleonora Tait. «Ed abbiamo scoperto una valle generosa, aperta. Con ragazze che vengono per proporre laboratori artistici, carabinieri e personale sanitario di una gentilezza e di una disponibilità ammirevoli, con apertura verso questi ospiti da parte del gruppo parrocchiale di Cloz, della società sportiva di rugby, dell’Alta Anaunia calcio. Un dentista ha offerto cure essenziali gratuite. Per non parlare di don Mauro Leonardelli, eccezionale». Qualche problema c’è stato, ma con 88 ragazzi ventenni, vorrei vedere. «Mi chiamo Rajen, vengo da Bangla Desh (...) A Castelfondo gioco, scuola, mangiare (...) Voglio ringraziare Eleonora, è stata la madre per tutti noi». Cheik Coulibaly, 20 anni, del Mali, 5 mesi all’ostello: «Ho passato dei momenti “agreabili” (francesismo, ndr), soprattutto con la mamma Eleonora, sapete che è tanto difficile occuparsi di 88 persone». Sono questi, i ricordi che «mamma» non potrà dimenticare.

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