Montagna / Il tema

Un patto interprovinciale per il dopo Vaia come nuova visione di un modello: l'appello di oltre 30 organizzazioni trentine

Presentata al Muse un'iniziativa che guarda oltre l'emergenza, per costruire un percorso concreto di raccolta di idee e risorse che diano risposta alel criticità sociali, economiche e ambientali delle comunità dolomitiche e degli ecosistemi di questo fazzoletto alpino concentrato sui territori di Bolzano, Belluno e Trento, ma coinvolndo anche altre areee limitrofe

IL LIBRO Il monito di Vaia, Cason e Nardelli: «Ecco come cambiare prospettiva»
PRIMIERO La rinascita tre anni dopo la tempesta: viaggio nei boschi
FIEMME Il ritorno della la foresta che suona
LEGNO Milioni di piante abbattute ma in Trentino manca il legname

di Daniele Benfanti

TRENTO. Passata la prima emergenza, durata più di tre anni, la società civile chiede alla politica e agli amministratori locali che la ferita della tempesta Vaia dell'ottobre 2018 non resti una cicatrice sulla pelle del Trentino ma diventi il tessuto connettivo di un nuovo approccio socio-economico-ambientale al territorio.

Vaia, in una notte dell'ottobre 2018, ha abbattutto 42.500 ettari di bosco.

L'appello è trasversale ed è stato presentato al Muse.

Lo hanno chiamato «Patto verde» per le foreste dolomitiche (green deal).

Lo hanno sottoscritto un variegato universo di soggetti - una trentina, con il traino del mondo ambientalista, ma non solo - che va dalle Acli ad Arte Sella, dal Biodistretto di Trento e della val di Gresta a Mountain Wilderness, dai sindacati confederali al Touring club, dal Wwf ad alcune associazioni e aziende agricole private, da Italia Nostra al Forum Trentino per la pace, da Confindustria Legno a Slow food a Legambiente, fino alla Scuola per il governo del paesaggio.

Ma come si può trasformare una sciagura in opportunità? Michele Nardelli è uno dei promotori del Patto: «È finita la fase di emergenza della gestione dei primi interventi del dopo-Vaia. Ora dobbiamo saper immaginare il futuro. Con uno sguardo lungo, che va oltre la contingenza, che pensa ai tempi biologici. I nostri obiettivi sono due: mitigare la crisi climatica stessa che ha generato la tempesta Vaia e le sue devastanti conseguenze e superare l'autoreferenzialità dei soggetti che in Trentino hanno a cuore e si occupano di montagna, grazie a una lettura unitaria dei fenomeni e dei progetti di rinascita».

Sei mesi fa è iniziato il dialogo tra associazioni e realtà interessate a fare in modo che il bosco del futuro sia una vera risorsa per il Trentino.

Ora si vuole aprire il dialogo alla politica, alle filiere e alle altre regioni dolomitiche colpite dal disastro naturale di tre anni fa: la Provincia di Bolzano, il Veneto (provincia di Belluno e altopiano di Asiago), il Friuli.

Realtà molto diverse, tra statuti autonomi e ordinari, modi diversi - secolari - di vivere in montagna, percentuali diverse di spopolamento montano.

Walter Nicoletti, giornalista agricolo e ambientale, traccia la rotta: «Iniziamo una campagna di ascolto tra soggetti eterogenei per elaborare dei punti programmatici e proposte esecutive per una politica unitaria complessiva del rilancio del bosco e della montagna. Non vogliamo che ogni settore vada per conto suo, c'è un destino comune. Il bosco, per il Trentino e tutte le Dolomiti, è quanto il Chianti per la Toscana, la Champagne per la Francia».

Il bosco rappresenta il 63% del territorio trentino. Per ripensare la montagna trentina e le sue foreste alcuni temi sono già sul tavolo.

C'è chi propone di incrementare la coltivazione di erbe di montagna là dove il bosco ha lasciato spazi impensati prima.

Chi, come Luigi Casanova, ambientalista fiemmese, mette in guardia dal rischio di approfittare di Vaia per realizzare troppe strade forestali sulle nostre montagne.

Si vuole riportare biodiversità.

Per la foresta di Paneveggio, quella del legno di risonanza per i violini, si punti (proposta di Giulio Deflorian, di Confindustria Legno) a una ricrescita naturale, sebbene più lunga di decenni, rispetto a un rimboschimento artificiale che rischia di alterare i valori ecologici di quel bosco preziosi.

Andrea Grosselli, segretario provinciale della Cgil, e Walter Alotti, segretario Uil, propongono un impegno a creare occasioni di formazione, posti di lavoro e un'occupazione buona, sicura e moderna in montagna, che dia possibilità di lavoro in loco a tanti giovani.

Nelle prossime settimane, spiegano i promotori dell'iniziativa, sulla base di questo canovaccio, sarà avviata una fase di ascolto del territorio per raccogliere idee e indicazioni per dare sostanza all'idea forza di questo elaborato, ovvero la zonizzazione del territorio per delineare le risposte più appropriate a partire dalle caratteristiche specifiche dei territori colpiti da Vaia.

Che si tradurranno in altrettante proposte del Tavolo di lavoro rivolte alle istitizioni locali.

Analogamente, è intenzione dei proponenti coinvolgere in questo percorso oltre il Trentino l'intera regione dolomitica colpita da Vaia, vale a dire la provincia di Belluno, l'altopiano di Asiago, il Sud Tirolo, la Carnia Friulana, la Valcamonica e la Valtellina.

I promotori invitano i cittadini a inviare a greendealforestedolomitiche@gmail.com le adesioni al documento o le manifestazioni di interesse per una eventuale presentazione sul vostro territorio.

--- IL DOCUMENTO COMPLETO ---

Un Green deal per le foreste dolomitiche  Vaia, da sciagura ad opportunità  

La tempesta Vaia, che meglio sarebbe definire con il suo vero nome, ovvero ciclone  extratropicale, è stata una delle prime, palesi ripercussioni in sede locale delle  modificazioni climatiche che si stanno verificando a livello globale. 

A fine ottoe del 2018, in poche ore, la furia del vento ha abbattuto oltre 42.500 ettari di  foresta, creando una devastazione mai vista nei boschi di cinque comunità regionali:  Lombardia, Trentino, Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia. 

L’evento ha messo in evidenza la fragilità del patrimonio boschivo e insieme l'eredità di  politiche forestali che fondano le loro radici in epoche lontane quando la logica  produttivistica aveva trasformato i boschi in piantagioni di alberi, incuranti di quanto si  sarebbe impoverito il tessuto boschivo sul piano della biodiversità. Un'eredità che segna,

seppure in misura diversa, buona parte del territorio dolomitico, attenuata semmai dalle 

politiche che le singole amministrazioni regionali hanno attuato nel corso degli ultimi  decenni. 

In Trentino e nelle altre realtà dolomitiche dove si è introdotto a partire dagli anni 60 un  significativo cambiamento di gestione – con la generalizzazione della rinnovazione  naturale e la scelta di modelli forestali irregolari e a composizione mista (con la crescita  delle specie associate all'abete rosso: faggio, abete bianco, larice, altre latifoglie) e il forte  aumento delle biomasse – ci sono condizioni che rendono possibile una migliore base per  la ricostituzione del bosco distrutto per via della presenza di nuclei di piante giovani e di  rinnovazione. 

Il bosco come bene comune 

Siamo convinti che la migliore risposta a questa calamità legata al cambiamento climatico  consista nel riavvicinamento delle comunità locali alle tematiche inerenti le foreste e la  loro gestione attraverso l’assunzione di responsabilità e la partecipazione attiva della  società civile, dell’associazionismo e del volontariato, delle componenti economiche e  professionali nonché dei Comuni, delle ASUC e delle altre proprietà collettive. 

Da sempre il bosco rappresenta un bene comune dal valore inestimabile che va oltre la  stima delle materie prime che se ne possono ricavare. 

Stiamo parlando di una funzione ecologica fondamentale ed imprescindibile sia per il  valore della biodiversità, sia per quanto riguarda la stabilità idrogeologica, la sicurezza del  territorio e il valore paesaggistico. Sia infine per quanto concerne la dimensione sociale,  ricreativa e turistica. 

Per questi motivi il patrimonio forestale deve assurgere nel dopo-Vaia a fattore di  resilienza strategico nella gestione complessiva della montagna in un’ottica di sostenibilità  ambientale, sociale ed economica. 

Accettare il limite, rilanciare la sostenibilità per ripensare il futuro della montagna 

Un’altra lezione che apprendiamo da Vaia riguarda il tema dei limiti dello sviluppo.  Anche la montagna, e in questo caso il versante meridionale delle Alpi, è stata investita dai  grandi fenomeni negativi legati ai cambiamenti climatici. 

La nostra generazione è chiamata pertanto ad assumersi delle precise responsabilità per  abbassare gli attuali livelli di consumo, contenere le devastanti emissioni di CO2 e mettere  in campo le migliori azioni volte ai cambiamenti di paradigma quali l’utilizzo di fonti  energetiche rinnovabili, un sistema della mobilità non invasivo ed inquinante, un modello  produttivo, agricolo e turistico sostenibili. 

Su quest'ultimo aspetto, riteniamo necessaria una riflessione attorno all'impatto del  cambiamento climatico sul turismo montano, ben sapendo che le attività legate alla neve si  ridurranno drasticamente e che la prospettiva di incrementare a dismisura l’innevamento  artificiale o quello di elevare ulteriormente la quota di costruzione degli impianti non può

essere la strada da seguire perché costituisce la riproposizione forzata di un modello non 

sostenibile. La foresta, da questo punto di vista, può diventare l’areale naturale per un  modello turistico compatibile con gli equilii ambientali. 

Altri obiettivi riguardano inoltre la riduzione dell’impronta ecologica, lo stop al consumo  di suolo e alla cementificazione, l’uso razionale e responsabile delle risorse naturali.  

Un’azione straordinaria per il rilancio della filiera del legno e la messa in sicurezza del  territorio 

Proponiamo pertanto un vero e proprio “Green deal per le foreste dolomitiche” che  intervenga in forma sinergica sul tessuto forestale compromesso da Vaia sia a livello  naturalistico, in una logica di protezione e differenziazione paesaggistica, sia a livello  economico ed occupazionale, con nuove iniziative pubbliche e private in piena sinergia ed  integrazione con i settori dell’agricoltura e del turismo. 

Con la proposta di un patto di sviluppo per le foreste dolomitiche intendiamo porre con  forza l’urgenza del rilancio dell’intera filiera del legno considerando anche le diverse  opportunità inserite nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e negli strumenti  dell’Unione europea ad iniziare dal Green Deal e dal nuovo PSR. 

Un patto che intende proporre innanzitutto un programma formativo ed educativo  incentrato sui temi della sostenibilità ambientale, sulle buone pratiche relative alla  selvicoltura naturalistica, sull’alpicoltura e la corretta gestione del patrimonio montano in  modo tale da rilanciare l’ambiente dolomitico in tutte le sue componenti. 

Se la comunità trentina e dolomitica sapranno dare vita ad un processo partecipato e  responsabile per rilanciare la centralità della montagna definendo una sintesi virtuosa fra  responsabilità, limite, innovazione ed economia circolare, ecco che Vaia potrà  effettivamente trasformarsi da problema in opportunità. 

Incentivare le politiche di intervento pubblico 

Rilanciare la filiera del legno significa innanzitutto incentivare le politiche di intervento  pubblico con il rafforzamento dei servizi forestali e di vigilanza boschiva, l’assunzione di  nuovi lavoratori e lavoratrici, la valorizzazione di nuovi profili professionali legati alla  rigenerazione delle foreste nonché il rilancio della ricerca e della formazione. 

In questi ultimi due decenni abbiamo assistito, anche in provincia di Trento, ad una  drastica riduzione dell’occupazione stagionale nel settore forestale, sia per quanto  riguarda il personale provinciale, sia per quello dei Comuni e delle ASUC. 

Siamo consapevoli del livello di impegno che comporta il potenziamento di questo settore:  formazione, qualità, utilizzo di macchinario complesso, a volte alte professionalità. 

Le province autonome e le altre regioni colpite da Vaia potrebbero pertanto assumersi un  impegno, anche economico, nel sostegno di questi profili professionali che porterebbe nel  eve volgere di pochi anni ad un recupero qualitativo della sentieristica, della viabilità

forestale e al miglioramento delle azioni di intervento relative alle emergenze che, secondo 

le previsioni, si annunciano sempre più frequenti. 

Anche sul versante imprenditoriale e della valorizzazione delle materie prime e dei  prodotti lavorati va messa in campo una nuova strategia per lo sviluppo di un sistema  locale connesso ai settori della bioedilizia, delle costruzioni in legno, delle case ad alta  efficienza energetica oltre ad altri manufatti legati all’economia circolare. 

Dalla prima lavorazione in bosco alle segherie e alle falegnamerie, dai laboratori alle PMI,  l’intera filiera dovrà essere coinvolta in un progetto complessivo di sviluppo nell’ottica  della definizione di un distretto locale forte, coeso e innovativo. 

Il dopo-Vaia dovrà corrispondere in questo ad un processo di ricostruzione e  ricomposizione del tessuto forestale nel pieno rispetto degli equilii naturali  compromessi dall’evento e nell’infrastrutturazione di un complesso di interventi per la  riorganizzazione del sistema di difesa dai rischi naturali quali valanghe, caduta sassi, frane  e alluvioni. Fondamentale, da questo punto di vista, sarà la realizzazione di misure ed  iniziative volte alla salvaguardia delle funzioni di presidio garantite dal bosco anche  attraverso un nuova pianificazione che rafforzi le aree di protezione. 

Si ritiene pertanto necessaria una revisione delle carte dei rischi geologici, idrogeologici e  valanghivi ed un piano straordinario di protezione civile legato al patrimonio forestale al  fine di prevenire e gestire razionalmente eventuali nuovi fenomeni estremi. 

Salvaguardare la biodiversità e la funzione ecologica del bosco 

Le azioni di rimboschimento dovranno tenere conto della necessità di salvaguardare la  biodiversità del patrimonio forestale. Pertanto la messa a dimora non dovrà essere  monospecifica ed estesa su ampie superfici e dovrà lasciare ampi spazi alla rinnovazione  naturale. Alcune aree saranno lasciate all'evoluzione spontanea senza asportare le piante  abbattute. 

Vaia potrebbe rappresentare inoltre anche un’opportunità per una maggiore diffusione di  specie diverse dall'abete rosso, quali il larice, il faggio, l’abete bianco e, a quote inferiori,  altre latifoglie come querce, frassini, aceri, diversificando ulteriormente le formazioni. 

A questo si aggiunge la necessità di affrontare l'onda lunga di Vaia con misure immediate,  sia per i rischi connessi al mancato esbosco del legname schiantato, sia per effetto del  bostrico tipografo che aggredisce porzioni sempre maggiori di foreste indebolite dal  ciclone del 2018 e dagli eventi come le grandi nevicate dell'inverno scorso. 

All’interno delle politiche e degli interventi tesi alla salvaguardia delle funzioni ecologiche  del bosco vanno approntati inoltre una serie di azioni di supporto e recupero degli spazi  compromessi quali aree naturalistiche di pregio (aree di Natura 2000, ZPS, ZSC e SIC),  radure e spazi aperti, prati aridi, pascoli e alpeggi. 

Si tratta di interventi che necessitano di una sensibilità rinnovata, capace di coniugare le  necessità di asportare il materiale ancora schiantato con quelle del recupero della  biodiversità, della sicurezza del territorio nonché del rilascio in superficie boscata della

necessaria necromassa (biomassa legnosa non vivente). 

Da questo punto di vista è necessario prestare maggiore attenzione anche alle esigenze di  tutela del patrimonio faunistico, garantendo ad esempio nuovi spazi per i tetraonidi e la  biodiversità legata agli ambienti aperti e alle fasce ecotonali (aree di transizione fra zone  aperte e zone chiuse) nonché, dove necessario ed in corrispondenza dei centri abitati e le  maggiori vie di comunicazione, adeguate strutture e corridoi faunistici per la salvaguardia  e incolumità dei selvatici e delle persone.   Nuova pianificazione e ascolto del territorio 

Vaia ha fatto sì che aprissimo gli occhi su territori variegati e gestiti da tempi immemori  (l’uomo è presente nella regione dolomitica da circa 12.000 anni e da circa 4.000 svolge sul  territorio attività di agricoltura, pastorizia e selvicoltura). Nel corso del Novecento i nostri  boschi hanno subìto forti pressioni dovute agli eventi bellici, allo sviluppo economico, alle  esigenze più immediate delle popolazioni locali. Dissodamenti, bonifiche, costruzioni di  terrazzamenti, non sempre corretta gestione del patrimonio forestale hanno oltremodo  contribuito a dar vita a un mosaico paesaggistico e colturale estremamente fragile.  Successivamente, alla crescita quantitativa non è sempre corrisposta quella qualitativa, cui  sono seguiti fenomeni diffusi di abbandono delle aree agricole marginali,  progressivamente riconquistate dal bosco, cresciute in superficie e in consistenza. 

All’indomani di Vaia molti osservatori hanno pertanto suggerito l'urgenza di un cambio di  paradigma, individuando in questo evento anche un'opportunità per ripensare la  montagna e il suo patrimonio, considerando che si potessero creare, accanto alle ferite  dovute agli schianti, anche nuovi spazi interni al settore forestale per migliorarne la  funzionalità e la resilienza anche in previsione del cambiamento climatico. 

La nostra proposta è quindi quella di promuovere un processo di zonizzazione a partire  dai territori investiti da Vaia per migliorarne la qualità e la funzione ambientale in un  quadro complessivo ed equiliato. Una zonizzazione pedoclimatica, in grado di  classificare le aree e individuare le migliori pratiche agro-silvo-pastorali. 

Un intervento che può trovare significato dopo un’azione di diffuso monitoraggio del  patrimonio esistente, della sua qualità, delle interconnessioni fra mondo vegetale e mondo  animale, fra caratteristiche e qualità dei suoli in cui si sviluppa una vita straordinaria per  numeri e importanza e che per questo merita grande attenzione. 

In questa prospettiva Vaia può rappresentare un’ulteriore opportunità, qualora sostenuta  da enti specializzati, settori legati ai diversi Dipartimenti universitari e tecnici di settore,  per investire in un percorso di ricerca applicata distribuita su più decenni, sviluppando sul  territorio non solo manodopera di media qualificazione, ma anche professionalità di alto  profilo. 

Un progetto che dovrebbe prevedere un nuovo equiliio con il territorio, mettendo in  essere un meccanismo partecipativo che aiuti le comunità ad assumere una maggiore  consapevolezza della stratificazione del paesaggio, di quel che c'era, di quel che c'è e di  quel che potrà esserci.

Un'operazione di ascolto necessaria per l’eterogeneità dei territori e per avere un 

coinvolgimento di soggetti diversi in grado di apportare informazioni affinché eventuali  trasformazioni possano corrispondere a finalità sostenibili nel quadro di una nuova  alleanza fra economia ed ambiente.   Nuove aree per l’agricoltura di montagna 

L’abbandono dell'agricoltura di montagna e delle terre alte ha riconsegnato negli ultimi  decenni alle foreste ampi settori di territorio un tempo adibiti alle coltivazioni in quota e al  pascolo. 

In particolari situazioni colpite da Vaia ed in prossimità dei centri abitati si potrebbe  pertanto pensare al recupero di nuove aree da destinare ad attività coerenti con i principi  della zootecnia sostenibile e dell’alpicoltura attraverso lo sviluppo del pascolo, delle  colture foraggere di qualità e la valorizzazione degli spazi ad elevata biodiversità come nel  caso dei prati magri e ricchi di specie. 

Nuovi spazi aperti consentirebbero inoltre di differenziare il paesaggio forestale e di  incentivare il ritorno all’agricoltura da parte dei giovani nei settori dell’allevamento. 

Interventi che dovrebbero però accompagnarsi da un’intensa azione formativa rivolta sia  al mondo dei produttori e degli allevatori, sia degli amministratori locali, delle ASUC e  delle altre proprietà collettive in modo tale da ribadire il valore preminente della gestione  e manutenzione responsabile e di qualità degli alpeggi e degli spazi aperti ad uso  foraggero attraverso un insieme di buone pratiche agronomiche e di gestione ambientale. 

In particolare l’idea del pascolo estensivo su ampie aree potrebbe permettere evidenti  benefici a vari livelli, non ultimi il paesaggio e la qualità dei prodotti agricoli in aree  marginali. 

Servono inoltre politiche organiche finalizzate alla gestione degli alpeggi in modo tale da  connettere la tutela delle risorse naturali con la valorizzazione degli aspetti zootecnici, il  sostegno alle imprese e lo sviluppo di forme di gestione multifunzionale che attualmente  risultano ancora inespresse. 

Nuovi spazi aperti destinati allo sfalcio e al pascolo avrebbero inoltre un effetto positivo  sulla biodiversità e sul paesaggio e potrebbero contribuire all’apertura di nuove possibilità  di sviluppo per l’apicoltura in aree non disturbate e lontane da un tipo di agricoltura  intensiva e soggetta ad utilizzo di agrofarmaci. 

Pensiamo ad importanti forme di sviluppo che potrebbero riguardare l’orticoltura  biologica, la pataticoltura e la cerealicoltura così come la coltivazione delle piante  officinali, la floricoltura, i piccoli frutti e le fragole coltivate in campo così come il restauro  ecologico di praterie magre e ricche di specie a partire da materiale di propagazione  autoctono. 

Ambiti cruciali, questi delle terre alte, per una diversificazione e riqualificazione dell'intera  economia dolomitica. 

 

Turismo naturalistico e dell’esperienza 

Il bosco ha una grande capacità attrattiva ed è percepito come l’ambiente naturale per  eccellenza all’interno del quale sviluppare un rapporto olistico con l’ambiente e dove  l'attività motoria risulta rilassante, benefica e salutare. In questo quadro, il bosco  rappresenta un grande giacimento per un modello turistico orientato alla responsabilità e  alla sostenibilità. 

Dalla sentieristica al benessere, dal turismo attivo e dell’esperienza ai vari sport e  discipline naturali, la foresta può e deve diventare a tutti gli effetti “la seconda casa delle  popolazioni alpine” anche e soprattutto nel dopo-Vaia. 

Questo evento, distruttivo e catastrofico, può pertanto rappresentare un nuovo inizio  anche per un turismo che vede il proprio punto di forza nelle emozioni e non più nelle  prestazioni delle infrastrutture e delle grandi opere in quota, privilegiando il silenzio della  natura e il benessere derivato dalla riscoperta della dimensione fisica e spirituale. 

I boschi urbani e di pianura 

In questa riflessione non può mancare uno sguardo relativo ad una delle fonti principali  del surriscaldamento del pianeta: quello delle emissioni di CO2 nell'atmosfera e al ruolo  delle foreste e dei boschi per ridurne l'impatto. 

Quando parliamo di boschi viene spontanea l'associazione con la montagna, quasi che  questa ne fosse l'habitat esclusivo. Sappiamo che purtroppo questa è in larga parte la  realtà oggettiva, ma non per questo dobbiamo rassegnarci ad uno dei tanti capitoli della  perdita di biodiversità, la scomparsa delle foreste e dei boschi di pianura, che hanno una  grande importanza perché creano percorsi di collegamento e connettività fra i vari habitat  e aree frammentate. 

Crediamo in altre parole che l'insieme del territorio alpino (e non solo la montagna) debba  farsi carico del ripristino di aree boscate e dell’importanza delle funzioni ecologiche ed  estetiche degli alberi anche lungo i fondovalle, in prossimità e dentro i centri abitati,  prevedendo nella pianificazione urbanistica una specifica attenzione. 

Un Tavolo di lavoro della società civile. 

L'intenzione di questo documento è anche quella di dar vita ad un tavolo di lavoro fra le  associazioni ed organizzazioni della società civile al fine di avviare una relazione  costruttiva con le istituzioni per un “Green deal per le foreste dolomitiche”. 

Gli eventi estremi e la natura non conoscono i confini dell'uomo. 

Da qui una seconda proposta: promuovere nuove occasioni di confronto fra le realtà  interessate al patrimonio silvo-pastorale dell’area alpina e dolomitica. Un incontro delle  associazioni e delle organizzazioni che operano nell'ambito ambientale e dello sviluppo  della montagna, dei comuni, delle Regole e delle Proprietà collettive, dei luoghi di ricerca  e formazione, degli ambiti professionali ed imprenditoriali e delle persone di buona volontà delle cinque aree regionali colpite da Vaia. 

Trento, 15 gennaio 2022 

ACLI trentine 

Ambiente Trentino 

ARCI del Trentino 

Arte Sella 

Associazione Biodistretto di Trento 

Biodistretto Val di Gresta 

Centro Studi Judicaria 

CGIL del Trentino 

Circolo di Trento di Legambiente 

CISL Trentino 

Comitato Scientifico di TSM/STEP, Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio 

Confindustria Trento 

Federazione Trentina Biologico e Biodinamico 

Federazione Trentina della Cooperazione 

Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani 

Italia Nostra 

La Foresta Accademia di comunità 

Mountain Wilderness 

PAN Studio Associato 

Officina Comune Rovereto 

PEFC Italia 

Slow Food Trentino Alto Adige 

Touring Club 

UIL del Trentino 

Università di Trento, Dipartimento di sociologia e ricerca sociale, Marta Villa, PhD e Research  Fellow 

WWF Trentino 

Prime aziende firmatarie: 

La Fonte Azienda Agricola di Montagna 

Azienda La Meridiana di Francesco Bigaran

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