L'animalismo radicale minaccia valori millenari della nostra civiltà

di Michele Corti

L’animalismo radicale, grazie alle contraddizioni del progetto Life Ursus, ha trovato  in Trentino un’occasione per diffondere i propri contenuti propagandistici ed ideologici «di punta». Sull’onda emotiva seguita la scorsa estate alla morte dell’orsa Daniza e, oggi, nella prospettiva della cattura di alcuni orsi (al fine di individuare i responsabili delle ultime gravi aggressioni ad esseri umani), militanti e simpatizzanti dei gruppi animalisti si sono gettati nella mischia di discussioni non solo sui social ma anche nei bar, sui giornali, nei posti di lavoro.
 
Rispetto alle tragedie del terrorismo il disprezzo esibito dagli animalisti per il valore della vita umana potrebbe essere accolto con una scrollata di spalle, con un: «ci sono ben altri problemi». Vorrei però portare all’attenzione il fatto che l’animalismo è solo una delle componenti dell’eclisse di quella civiltà cristiana che ha introdotto un rispetto per la vita umana che davamo per acquisito per sempre e che ora è apertamente messo in discussione.

Molti, nell’ambito dei contradditori con gli animalisti, hanno potuto rendersi conto di un livello preoccupante di violenza verbale ma, al di là dei toni, quello che sconcerta è constatare come nel quadro valoriale animalista siano stati  eliminati quei punti fermi sul valore per sé della vita umana che il cristianesimo era riuscito ad affermare duemila anni fa.

Ci siamo dimenticati che prima del cristianesimo le cose stavano in modo molto diverso, che la vita dello schiavo era alla mercé del padrone, che anche la vita della donna e dei figli non emancipati aveva un valore ridotto. Da questo punto di vista la nostalgia del paganesimo è fuorviante.

La svolta può essere collocata simbolicamente con il 387 quando l’imperatore Teodosio, che aveva ordinato un terribile eccidio della popolazione ribelle di Antiochia, fu costretto a pubblica penitenza da Sant’Ambrogio. Nell’ambito dello stesso occidente cristianizzato ci sono stati ancora grandi orrori, ma gli orrori delle stesse «eresie totalitarie» del XX secolo, che hanno perseguito sistematicamente e industrialmente l’annientamento dell’uomo, presupponevano un preliminare procedimento ideologico di disumanizzazione.

L’uomo o la categoria umana da distruggere (il «nemico del popolo», il «kulako», l’«ebreo») venivano spogliati della loro umanità, assimilati ad animali.  

Nel XXI secolo è la vita dell’uomo in quanto tale, in quanto «specie nociva» e «eccessivamente proliferata» che non è più ritenuta degna di rispetto per sé, di un rispetto che il cristianesimo è riuscito, almeno in parte, ad affermare quale sacrale. L’animalismo, da questo punto di vista, proclamando il transpecismo, annullando la differenza tra animale e uomo, contribuisce a livello di diffusione di massa di nuovi orientamenti di valore che spianano la strada alle peggiori distopie neomalthusiane ecototalitarie (anche più temibili dell’animalismo).

Sia che si voglia ridurre drasticamente la popolazione umana per lasciare spazio alla wilderness (gli animalisti) o per consentire all’umanità «ridimensionata» di continuare nella politica di iperconsumo e di esaurimento delle risorse terrestri (i tecnocrati come l’Aspo – Association for the Study of Peak Oil & Gas) siamo in presenza di  un ribaltamento etico che pone il valore della vita umana dopo altre priorità .

Anche le  «ricette» sono le stesse: si chiamano eugenetica. Come abbiamo già avuto modo di ricordare in questo blog il teorico animalista Singer ritiene accettabile non solo l’aborto ma anche l’infanticidio e la soppressione degli handicappati. Il fondamento dell’etica animalista è che un animale può essere una persona e quindi titolare di diritti, un umano malato, un handicappato no.

Partecipa di questa eclisse della civiltà, della fine dell’umanesimo cristiano, anche il transumanesimo che tende ad annullare l’identità dell’uomo come premessa dello sviluppo di ibridi tra umani e strumenti artificiali (una tendenza in realtà già avviata con gli organi artificiali). In una prospettiva opposta a quella biocentrica questi surrogati umani che rappresentano lo stadio successivo a quello dell’uomo degradato ad appendice della macchina, potrebbero sopportare inquinamento chimico, cambiamento climatico, esaurimento risorse alimentari, radiazioni mentre la vita biologica potrebbe degradare senza limiti (ma il sistema economico e produttivo potrebbe espandersi e colonizzare altri pianeti).

L’idea dell’uomo in armonia con la creazione è estranea a tutte queste prospettive che tendono a sostituire al Dio cristiano nuovi idoli pagani: vuoi una natura contrapposta all’uomo e gli animali, vuoi la tecnoscienza (elevata a nuova religione).

In un clima di fine impero il cristianesimo se resta incapace di cogliere la portata della sfida rischia di essere relegato nel ruolo dell’antica religione nel declinante impero romano: un involucro vuoto riempito dai più disparati contenuti (come duemila anni fa la religione romana era stata, di fatto, soppiantata da disparati culti orientali).

La reazione alle ideologie che sgretolano l’identità umana (indebolita anche dall’ideologia del gender e dalle pratiche riproduttive che privano la persona di un’origine, di un padre, di una madre) da parte dei cristiani dovrebbe essere più vigorosa, più convinta, più unanime, meno frenata dagli equivoci che scambiano queste prospettive con l’affermazione di diritti. Di fronte all’incubo degli totalitarismi biocentrici o tecnocentrici diventa più urgente che mai difendere il valore della vita, della persona, dell’identità, dei valori umani da tutte queste minacce.

Sono cupe le prospettive del genere umano. C’è chi auspica e persegue l’azzeramento dell’umanità, rea di aver tolto spazio alla wilderness, chi persegue un’austerità feroce, condita di undarwinismo sociale che consentirebbe a pochi privilegiati di continuare nel consumismo, chi non esiterebbe a scatenare una catastrofe nucleare. Ci sono poi le minacce di carestie e pandemie, della sostituzione dell’uomo con i cyborg, di un’estinzione della specie umana per perdita di vitalità e fertilità (indotta sia dalla pervasività dei composti chimici riprotossici che dalle culture nichiliste e antifamiliari).

Un’altro futuro è però possibile. In alternativa alle distopie legate al caparbio perseguimento della crescita, alle «soluzioni» ecologiche e sociali che aggraverebbero anziché migliorare la condizione dell’umanità accentuando disuguaglianze e miserie c’è la prospettiva di quella frugalità conviviale individuata, oltre quaranta anni or sono, da quella grande figura profetica rappresentata da Ivan Illich.

La convivialità (ben diversa dalle utopie collettivistiche e comunistiche) consentirebbe un uso non esclusivistico degli strumenti tecnologici e dei beni mantenendone la natura di mezzi atti a soddisfare bisogni umani non artificiali e invertendo la tendenza a trasformarli in fini che si contrappongono all’uomo. In tal modo, riducendo gli sprechi, sfuggendo all’obsolescenza, si ridurrebbe drasticamente il consumo di energia e di materia non rinnovabile. Lo stesso risultato si otterrebbe promuovendo il ben-essere, lo stare insieme, la coltivazione del bello e del buono, della cultura, la trasmissione non istituzionalizzata del sapere, riducendo il ben-avere (o troppo avere), la moltiplicazione dei bisogni indotti e degli oggetti, dei viaggi a grandi distanze e a grandi velocità, il consumo di servizi sanitari.

La riaffermazione dei valori umani (più che gli appelli moralistici «correttivi» nel contesto di una cultura dell’avere, dell’egoismo, dell’individualismo, dell’utilitarismo edonista) rappresenta il presupposto convincente per una redistribuzione delle risorse contrastando quella concentrazione di consumi che è alla base della fortissima impronta ecologica dei paesi ricchi (e di quelli che li stanno inseguendo in una sciagurata corsa sviluppistica).

Coltivare i valori umani uscendo dall’era dell’economia, dell’industria, dello sviluppo, rappresenta quindi il presupposto di una riconciliazione non solo dell’uomo con l’uomo ma anche dell’uomo con gli altri esseri viventi. Distruggere i valori umani in nome delle ideologie animaliste, biocentriche rappresenta invece una delle varie manifestazioni di un unico programma nichilista e totalitario.

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