In casa il 78% di cibo sprecato Ogni settimana 5 euro "buttati"

di Daniele Benfanti

Sul fronte del contenimento dello spreco alimentare si sono già raggiunti buoni risultati ma si può e si deve fare meglio. Perché lo spreco è dannoso all’ambiente e alla nostra salute.

La tutela del pianeta comincia a tavola (o nel frigorifero). L’altro ieri si è celebrata la settima Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare promossa dalla campagna Spreco Zero (giunta al decimo anno). L’osservatorio Waste Watchers rileva che ogni famiglia italiana spreca ogni settimana circa 5 euro di cibo. Alla fine dell’anno fa 6,5 miliardi di euro.

«Abbiamo un po’ perso la cognizione del valore del cibo e di ciò che gli sta dietro», osserva il professor Andrea Segré, presidente della Fondazione Mach (in scadenza tra un paio di settimane) e ordinario di Politica Agraria all’Università di Bologna. Lo spreco maggiore, nelle società del benessere come quella italiana, avviene in casa: il 78% del cibo. Con in testa frutta, verdura, pane e latte. Mentre nelle società in via di sviluppo è la filiera del cibo ad avere delle falle: raccolto, infrastrutture, refrigerazione, conservazione carenti. Il 29 settembre 2020 sarà indetta la prima Giornata mondiale contro lo spreco alimentare.

Professor Segré, come si è iniziato a rilevare lo spreco alimentare?

«Va detto innanzitutto che le valutazioni si basano su rilevazioni di tipo percettivo, compiute dal 2014 in poi, su un panel di consumatori, grazie alla partnership della Swg, società di sondaggi e statistica. Integrata da una prima indagine quantitativa a campione con questionari alle famiglie italiane. Lo spreco percepito è di 6,5 miliardi di euro l’anno; quello reale è di almeno 12».

Chi sono i maggiori “spreconi”?

«L’Italia è in perfetta media europea. Al Sud si spreca più che al Nord, perché si mangia di più in casa e si tende a comprare più cibo. I giovani sprecano più delle altre fasce d’età: se trovano un prodotto appena scaduto tendono a buttarlo. Invece ci vuole formazione. “Scade il” o “da consumarsi preferibilmente entro” sono indicazioni ben diverse che troviamo sull’etichetta.
Un pacco di pasta o biscotti è ancora buono. Ma anche uno yoghurt, ovviamente, non scade alla mezzanotte tra un giorno e l’altro? Anche i single sprecano parecchio, perché spesso non trovano monoporzioni. Per la ristorazione e la grande distribuzione lo spreco è un costo importante, quindi viene controllato molto di più che in famiglia».

I consigli anti-spreco, allora, quali possono essere?

«Possono sembrare banali. Innanzitutto leggere bene l’etichetta e la scadenza indicata. Conoscere il proprio frigorifero: ci sono temperature diverse per la conservazione dei prodotti. Quando si fa la spesa è utile una lista, per evitare eccessi. Siamo bombardati da stimoli all’acquisto e bisogna saper resistere razionalmente. Il 3x2 che ci invita all’acquisto è poi portatore di spreco. Pensiamo che il terzo prodotto sia gratis e abbiamo meno remore a buttarlo. Anche il trasporto a casa dei prodotti a volte è sottovalutato. In casa anche gli scarti possono avere una seconda vita».

Ci sono cibi che hanno nel proprio Dna uno spreco minore di risorse e sono più compatibili con la salute del pianeta?

«Certo, il cibo spazzatura non solo fa male alla salute, ma richiede anche più acqua, spreco di suolo, risorse energetiche per essere prodotto. La dieta anglosassone, basata su molta carne, è idrovora. Noi abbiamo la straordinaria dieta mediterranea, che impatta molto meno».

La cultura anti-spreco come si può diffondere?

«Naturalmente cominciando da piccoli, dalla scuola.
Ci sono interventi preziosi, come quelli che in Trentino fa l’associazione Assfron. Ma servirebbe istituzionalizzare l’educazione alimentare e ambientale come perno dell’educazione in generale».

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