Caso Yara, una nuova pista grazie a investigatori trentini

L’operazione «Black Shadow» ha scoperchiato un orrendo «vaso di Pandora»

di Marica Viganò

L’operazione «Black Shadow», coordinata dal Centro nazionale contrasto alla pedopornografia online e diretta dal pm Davide Ognibene della procura di Trento, ha scoperchiato un orrendo «vaso di Pandora» da cui sono emersi contatti morbosi fra uomini insospettabili, molti dei quali sono quotidianamente a contatto con minorenni, a scuola e nello sport. Due i trentini indagati (un infermiere arrestato e rilasciato, ed un 47enne denunciato, di cui abbiamo riferito nei giorni scorsi) fra le 48 persone coinvolte; dieci gli arresti con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla detenzione e diffusione di materiale pedopornografico. Gli uomini del Compartimento della polizia postale del Trentino Alto Adige, coordinati dal vicequestore Sergio Russo, hanno pure trovato un dossier osceno con ripetuti riferimenti a Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate barbaramente uccisa nel 2011: il materiale era nel computer di un 53enne di Rimini, ora in cella. Le immagini e le conversazioni raccapriccianti scoperte dalla polizia postale nei migliaia di files sequestrati sono un pugno nello stomaco. «Che meraviglia» commenta di uno degli indagati all’immagine di una ragazzina svestita, «Vorrei essere lì». La conversazione si fa via vai più morbosa e ripugnante. Nelle foto scambiate erano ritratti bimbi fra i tre ed i 12 anni.

Le perquisizioni sono state effettuate in Trentino Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Abruzzo, Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna. Gli indagati sono uomini di età compresa fra i 39 e 70 anni, dall’insegnante al pensionato, dal disoccupato al laureato, dall’infermiere al dirigente sportivo; dei 48 indagati, solo una minima parte aveva precedenti specifici. Dalle perquisizioni all’arresto il passo è stato breve per dieci uomini trovati in possesso di un ingente quantitativo di immagini pedopornografiche. Se l’infermiere trentino è stato posto ai domiciliari e subito rilasciato, per un impiegato riminese si sono spalancate subito le porte del carcere.

Il riminese, 53 anni, nascondeva migliaia di file con protagonisti minorenni, anche in tenera età, ma è stato un dossier ad attirare l’attenzione degli investigatori: 40 pagine da far accapponare la pelle, con le fotografie della piccola Yara accanto a preghiere blasfeme e filastrocche ripugnanti, frutto di una mente perversa e malata. Questa «pista riminese» viene ora seguita dal pool difensivo di Massimo Bossetti, l’uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara. Le indagini della polizia postale del Trentino Alto Adige erano partite un anno e mezzo fa, dall’arresto a febbraio 2016 di un quarantenne nullafacente residente in val Pusteria, trovato in possesso di 4 terabyte di immagini di contenuto pedopornografico. Si parla di migliaia di foto e di centinaia di filmati, con scene raccapriccianti. L’uomo, che ai suoi interlocutori si presentava spesso come madre di una minorenne ed affermava di essere attratto dai bambini, aveva ammesso di aver scaricato e ceduto parte del materiale ad altre persone con cui era contatto in rete. Attraverso «prove digitali» trovate nel computer sequestrato, sono stati scoperti numerosi contatti in rubrica ed un utilizzo esagerato dell’applicazione di messaggistica.

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