Ambiente / La ricerca

Cambiamenti climatici, le piante soffrono e si spostano verso le quote più alte

Uno studio del Museo Civico di Rovereto e dell'Università di Padova evidenzia la progressiva migrazione in atto che riguarda la maggior parte della vegetazione sulle Alpi nordorientali. Danni anche a causa delle attività umane in quota: negli ambienti antropizzati le piante aliene sottraggono risorse alle specie autoctone

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di Nicola Guarnieri

ROVERETO. Le piante alpine sono in fuga dal caldo ma anche, se non addirittura soprattutto, dall'uomo. Perché faticano a sopravvivere e cercare, diciamo così, refrigerio in quota. Salendo, attenzione, ad una velocità vertiginosa.

A sopravvivere, però, sono perlopiù le cosiddette specie aliene, esotiche, mentre le «nostre» piante, quelle autoctone, si spingono in su fino ad un certo livello ma poi non ce la fanno. Si trovano così compresse tra l'intervento dell'uomo in basso e l'incapacità di resistere in alto rischiando seriamente di scomparire.

A scoprire come il mondo stia cambiando per il clima è stata una ricerca del Museo Civico e dell'Università di Padova che è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista «Pnas» (Proceedings of the National Academy of Sciences), la quinta al mondo come importanza per la scienza.

Lo studio, come detto, evidenzia come la maggioranza delle piante delle Alpi Nordorientali italiane si sposta verso quote più alte in risposta ai cambiamenti climatici.

Il «Bromus erectus», ad esempio, negli ultimi trent'anni si è mosso con una velocità di 3 metri l'anno; il «Sorghum halepense», una specie aliena, si è alzato di 4 metri ogni dodici mesi. Diverso, invece, è il caso della «Pulsatilla montana», specie rara, che ha retratto la sua distribuzione storica di circa 50 metri nel trentennio.

Le piante aliene, tra l'altro, soprattutto negli ambienti antropizzati sono molto rapide a crescere e sottraggono le risorse alle altre specie autoctone.

«Sono anni che diciamo queste cose. - spiega Alessio Bertolli, botanico della Fondazione Museo Civico - Ultimamente le università e i centri di ricerca si sono lanciati sui cambiamenti climatici nascondendo però l'effetto dell'uomo. Adesso, finalmente, siamo riusciti a dimostrare che oltre al clima c'è l'antropizzazione a fare danni perché modifica l'ambiente».

La ricerca ha monitorato non solo la presenza ma anche la tipologia (autoctona comune, autoctona rara e aliena) della flora situata sulle Alpi Nordorientali italiane: in questi tre decenni vi è stato uno spostamento verso quote più alte delle popolazioni di piante. Eppure la distribuzione delle specie autoctone rare non si è espansa verso l'alto in concomitanza con i cambiamenti climatici ma, come detto, si è contratta. Le piante aliene si sono invece diffuse rapidamente a quote più alte spostandosi con la stessa velocità del riscaldamento climatico pur mantenendo la loro presenza anche a valle.

La pubblicazione - frutto della collaborazione di Lorenzo Marini e Costanza Geppert dell'Università di Padova con Filippo Prosser e Bertolli - dimostra che la flora alpina vive un profondo mutamento. Alcune popolazioni di piante, per effetto del cambiamento climatico, sono sottoposte a temperature troppo alte per la loro sopravvivenza. Per questa ragione alcune specie migrano a quote più alte, dove si trovano condizioni termiche più fredde. Tuttavia non è solo l'innalzamento della temperatura a sconvolgere la flora alpina, anche l'attività dell'uomo ha un importante impatto poiché a valle si concentrano le attività antropiche e vi è maggiore è una pressione sull'ambiente.

Il paesaggio alpino, dunque, ha subito importanti trasformazioni negli ultimi anni: sono aumentate a valle le aree urbane o agricole e, parallelamente, sono stati abbandonati i prati semi-naturali - non sfruttabili da un'agricoltura sempre più intensiva - a quote intermedie.

«Sono numerose le specie floristiche minacciate legate agli ambienti agricoli tradizionali e a prati e pascoli. - osservano Filippo Prosser e Alessio Bertolli - Le zone aperte rischiano di scomparire poiché nelle aree più acclivi e scomode sono in fase di abbandono, mentre in quelle pianeggianti vicino alle strade sono soggette a sempre più eccessive concimazioni e pascolamenti, che determinano una banalizzazione della componente floristica. Il pericolo è perdere specie davvero uniche e preziose per la biodiversità delle nostre Alpi».

Da tempo il Civico ha compilato una lista rossa con i nomi delle specie minacciate. «Quelle aliene, esotiche, stanno dimostrando una capacità più grande e si spostano più velocemente. Le autoctone hanno invece una forbice sempre più stretta: spinte verso l'alto dal caldo ma solo fino a una certa quota, schiacciate dal cambiamento climatico, ma rifiutate e spinte verso il basso dagli ambienti difficili. Per questo rischiano di sparire: cotte dal sole o perché non riescono a fruttificare».

Ma come sono arrivate da noi le piante aliene? «Sono state portate per motivi estetici, come piante ornamentali, nei giardini. Poi, però, scappano e diventano selvatiche e questo non va bene. Altre piante, invece, sono arrivate con i traffici commerciali: dal Nord America e dall'Asia; non arrivano dall'Africa con i migranti, come qualcuno potrebbe pensare, ma con le merci, con i container nelle navi e sugli aerei».

Al di là del clima, cosa si potrebbe fare per limitare l'espansione delle piante aliene? «Ci vorrebbe maggiore sensibilità della gente comune: piantare nel proprio giardino fiori e piante da vivaio e non locale non si sa mai a cosa porta». Insomma, meglio dotarsi di piante nostrane per non stravolgere l'ambiente naturale. Oltre ai cambiamenti climatici, però, c'è l'uomo.

«La rapida perdita delle aree di distribuzione specifica delle piante rare si è verificata in zone in cui le attività umane e le pressioni ambientali sono elevate. Questo ci suggerisce che bisognerebbe proteggere anche le aree a valle», chiosa Lorenzo Marini, coordinatore dello studio per conto dell'ateneo padovano.

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