Million ticket boy: Michele Lanzinger racconta il miracolo del Muse

di Paolo Ghezzi - NO

Forse perché ha la testa in alto, oltre il metro e 90, dove l’aria è più fresca e si pensa meglio, forse perché il Muse di Piano è tutto vetri, e ti dà «vision» sui quattro punti cardinali, ma il direttore del Museo delle scienze Michele Lanzinger, 58 anni, principale artefice di un boom di visitatori che non ha precedenti nella recente storia museografica italiana (e forse europea) è un Million Ticket Boy senza un filo di stress apparente.
Avendo egli moltiplicato a dismisura i turisti che trotterellano in Trento ben oltre la fatidica quota dei 33 trentini, gli sono toccate, per contrappasso, 33 domande dell’Adige.

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1) La prima domanda è obbligatoriamente banale: ma se lo aspettava il milionesimo visitatore dopo soli 21 mesi?
No, assolutamente. Quando si fece lo studio di fattibilità nel 2003, avevamo grandi difficoltà a stimare il numero di visitatori, e garantimmo 160mila visitatori all’anno. Su questa base la Provincia decise di andare avanti. Un milione in 21 mesi è un numero su cui non avevamo strumenti di previsione. Anche rispetto ai buoni science museums in giro per l’Europa, che vedevamo come modelli irraggiungibili - Mechelen (Bruxelles) o Helsinki: loro stanno sui 250-300mila visitatori, che ci parevano soglie irraggiungibili. Ora la gara si è capovolta. E nel 2015 siamo in crescita sul 2014, mentre tutti dicevano: è un fuoco di paglia.

 

2) E la spiegazione che vi date?
Noi siamo molto attenti a profilare i nostri visitatori, per migliorare ciò che facciamo. Al di là dei numeri, la nostra ragion d’essere è culturale e sociale. Associata a una forte penetrazione nella nostra comunità e a una forte dimensione di turismo, certo: ma la driving force è quella. Se avessimo voluto a Trento un parco a tema, magari con agganci naturalistici, l’avremmo progettato diversamente o non l’avremmo fatto. La dimensione culturale, in senso non elitario, resta per noi fondante, creando la relazione tra la conoscenza di prima mano (i nostri ricercatori), la capacità di leggere la conoscenza prodotta da terzi, l’apparato di mediazione sociale che intercetta tutta la vita delle persone, dal Maxi Ooh! per i bambini di pochi mesi, ai programmi per l’età adulta, e così è diventata un’esperienza autentica di turismo culturale. Ma la forza è che non nasce come struttura turistica. Il milione di visitatori è la conseguenza di un progetto culturale ben fatto.

3) Come avete festeggiato il milionesimo?
È stato un po’ tristignaccolo, abbiamo staccato il milionesimo biglietto il 5 maggio, nel mentre Renzi stava parlando a Trento. E ci è un po’ dispiaciuto di non essere riusciti a far sì che lui lo sapesse, in modo da posizionare la città di Trento in questa situazione. Non abbiamo neppure avuto il tempo di stappare una bottiglia... siamo troppo sotto pressione.

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4) Si capisce: ve ne inventate una al giorno, dai balletti alle cene aziendali, dai concerti alle feste, dal kindergarten scientifico ai collegamenti spaziali... È solo lo stato nascente, o il Muse resterà una macchina onnivora?
Mi piace il termine «onnivoro» se è usato in senso biologico, e non di fagocitazione: noi siamo onnivori perché questo è il modo in cui l’homo sapiens si relaziona con la realtà, che non è suddvisio in comparti accademici, ma passa da tutti quanti i cinque sensi.

5) Quanto costa organizzare qualcosa al Muse?
C’è grande variabilità, dalle piccole iniziative per la comunità agli eventi corporate: 130mila euro da 83 eventi, finora, è la cifra generale. Fate il conto... È molto alta la nostra attenzione a massimizzare le entrate extrapubbliche, non a caso siamo arrivati al 48% di entrate proprie sul budget.

6) Chiunque può chiedere?
Abbiamo un codice etico. Le mine anti-uomo non le ospitiamo, la moda o le automobili non sono ancora fuori legge.

7) Quant’è calato l’apporto della Provincia?
Tra 2014 e 2015 abbiamo avuto un taglio di oltre 1 milione di euro, pari al -26%

8) La preoccupa, il taglio?
Ci stimola a reagire, come devono fare i sistemi resilienti, che per rispondere alle emergenze si riorganizzano.

9) E la riforma annunciata da Mellarini, con la progettata convergenza dei musei provinciali in un unico comando gestionale, lasciando alle direzioni dei singoli poli le rispettive peculiarità culturali, la convince?
Avendo una formazione da evoluzionista, osservo che un modello che ho sentito annunciare per la prima volta negli anni 90 e che non è ancora stato realizzato, sarebbe giudicato da Darwin come una selezione negativa. Ma non c’è dubbio che si debba andare in questa direzione: alla politica spetta dire come valorizzare le parti in un insieme territoriale che comunque resta piccolo. Non basta risparmiare l’x per cento di un ragioniere, a mio parere: non è questo l’efficientamento del sistema. Il problema è come far sì che le risorse attuali abbiano una maggiore produttività, un miglior «tiro» sul territorio. Va detto peraltro che la rete dei musei scientifici c’è già: basta pensare ai 58mila visitatori delle palafitte di Ledro, non sono pochi.

10) A proposito, quanto possono migliorare i rimbalzi tra un museo e l’altro?
Sarebbe più elegante che lo dicessero gli altri: ma gli altri musei perché sono cresciuti? Hanno fatto straordinarie mostre fuori standard? O sono cresciuti perché sono dentro un trend, favorito dal Muse, per cui il turismo a Trento sta aumentando dell’8-10% all’anno e i commercianti - interrogati - dicono che vendono di più? L’indotto del sistema musei - stimato da Fondazione Fitzcarraldo e non da noi - è stimato in 140-150 milioni di euro. Il nostro indotto, lo stimiamo prudenzialmente in 50 l’anno. La Provincia sta lavorando bene con le guest card che innestano i musei nella promozione del Trentino. È chiaro - per fare un solo esempio - che, a partire dalla mostra alle Albere agganciata all’Expo di Milano, «Coltiviamo il gusto» (con «frutteti» annessi), potranno esserci dei rimbalzi «agricoli» su San Michele che altrimenti, nell’anno dell’Expo, rischia di non essere visibile pur essendo il museo eponimo del territorio. Dobbiamo aprire la Val d’Adige al turismo dei weekend, oggi ci sono ancora troppe escursioni in giornata: il meticciato tra esperienze sportive e culturali serve a questo».

11) La sente l’invidia (o il complesso d’inferiorità) dei musei più piccoli, che sospirano: ehhh, par che ormai ci sia solo il Muse...?
Non vengono certo a dirlo a me. Ma se guardiamo i dati dei nostri contributi provinciali, sono in netto calo, e dunque non si può dire che il Muse abbia desertificato il sistema provinciale. Il nostro taglio quest’anno è più forte.

12) Quanto conta la griffe Piano?
Molto. Ha sposato la nostra idea originale di museo con un’idea architettonica forte. Il 30% dei visitatori sa che l’edificio è di Renzo Piano e anche per questo ci è venuto.

13) Nel boom Muse, quanto è sostanza e quanto comunicazione?
Il dato più approssimativo per misurarlo è il grado della soddisfazione post-visita: altissimo. E funziona il passaparola, fisico e con i social. E se sui campi da sci ti dà fastidio vedere quelli che «fanno i maestri», noi siamo contentissimi di vedere il visitatrore esperto che fa da guida ai nuovi. Io lo chiamo il «marketing della cognata». Chi ci viene, lo consiglia. Crescere dopo i primi 12 mesi, ha questa spiegazione.

14) Lanzinger uomo solo al comando King of Muse, o capitano di uno squadrone?
L’uomo solo non funziona. Noi abbiamo importato il modello organizzativo del National History Museum di Londra, non quello di Parigi o New York: è proprio la qualità del team nei suoi diversi tavoli (dall’EduMuse, alla progettazione europea, dal settore manutenzione all’area corporate per le imprese) che fa il nostro successo. La struttura è orizzontale, non piramidale: non abbiamo vicedirettori e non abbiamo dirigenti, sono solo funzionari, ed è gente che mi risponde alle mail alle undici e mezzo di sera e alle sei e mezzo del mattino. In questa fase, c’è una leadership di idee, ma non retributiva. Non è il momento adesso, ma un giorno bisognerà pur parlarne... Se lo meriterebbero.

15) Quanti lavorano oggi al Muse e qual è il numero ideale?
Oggi ci sono 250 buste paga, per 180 posti a tempo pieno equivalenti. Questo è grosso modo il numero giusto. Certo, oggi abbiamo una quota di precariato fortissima, siamo solo 80 dipendenti. Dovremo trovare modalità equilibrate di inserimento di lavoratori più vicini al core business, ed esternalizzazioni virtuose di attività non connesse organizzativamente con la nostra storia. Purché, per esempio sui progetti educativi, non sia una gara al ribasso. Con qualità che scade. Si esternalizza la pulizia del giroscale, ma non la moglie.

16) La giornata tipo del direttore?
Comincia alle 6 leggendo l’Adige sul tablet, e leggendo le prime mail, e finisce a mezzanotte. Tutti i pranzi, qui al Muse: incontri di lavoro con qualcuno. Le riunioni sono regolate dalla sindrome del barbiere: venti minuti massimo per ogni argomento. Quest’intervista di un’ora occupa tre slot.

17) Acceleriamo allora: qualcosa da imparare da altri musei?
Non come progetto complessivo: è il nostro. E funziona. Come singole idee, ormai, le cerchiamo più nei musei dell’arte che in quelli scientifici. Ma non stiamo importando mostre dall’estero. Anzi, dal 9 al 13 giugno, per il congresso Ecsite, avremo qui 900 professionisti dei musei e centri scienze di tutta Europa, abbiamo saturato tutti gli alberghi. Il grande vuoto centrale del Muse ricorda il museo di Parigi, ma la forte multimedialità è una scelta nostra, dettata dal confronto quotidiano con le innovazioni.

18) Al congresso Icom (International Council of Museums) di Venezia, lei, direttore Lanzinger, ha attaccato l’ingresso gratis ai musei la prima domenica: non è una una buona politica di inculturazione popolare?
È una follia. Chi ha tanti visitatori ne avrà ancora di più, i musei che ne hanno pochi, non ne guadagneranno. Ma noi perdiamo così 180mila euro di incassi annuali. Coprirebbero tutto il costo della reception. Un museo che ha 20 visitatori, ci perde 120 euro. La promozione territoriale dovrebbe lavorare sugli anelli deboli della catena. Se la 500 la vendi bene, lo sconto lo devi fare sulla Duna.

19) Il Muse è un museo per bambini?
No, siamo usciti dallo stereotipo «museo scienze, museo da bambini». Noi facciamo una proposta adulta.

20) Allora è un museo per famiglie?
Per le famiglie come cellula della società. Non è come portare i bambini al cinema, o al parco divertimenti, è una famiglia che si confronta col mondo e ne parla, mette in gioco le sensibilità di adulti e bambini. E gli adulti cominciano arrivare con i pullman.

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21) Criticità strutturali del super Muse?
Era previsto un centro congressi che non c’è, abbiamo una sala conferenze da 99 posti, meno che in via Calepina. Siamo bloccati sui laboratori per le scuole, stop alle prenotazioni già a dicembre. Abbiamo una domanda di FabLab che non può essere soddisfatta. Ma avevamo progettato il Muse per un quarto di questi visitatori!

22) E l’area intorno? Il quartiere?
Si muove. Si cominciano a vedere negozi, e panni stesi, la damnatio del quartiere con i bagni senza finestre, su cui si è schiantata la residenzialità, si sta sciogliendo nella constatazione di una qualità indiscutibile. Potrebbero essere valorizzate le due barchesse vicino a Trento Fiere, l’intero quartiere può diventare il cuore innovativo di Trento come smart city.

23) La politica provinciale è sufficientemente rapida e smart, con il Museo?
Ci lascia lavorare bene.

24) Presidente e cda servono?
Ruolo fondamentale per tenere sotto controllo la dimensione formale.

25) Da Andreatta Marco ad Andreatta Ale. Qualcosa da chiedere al sindaco bis?
Che tenga alto il dinamismo della città, saldo il rapporto con Rovereto e con i territori, e faccia dell’area Albere l’anello di Trento città innovativa.

26) Niente cifre: di cos’è più fiero?
Il Muse sa fare ricerca e crea pubblico senza perdere qualità culturale. E, per ridere: il ristoratore che ha inventato gli spaghetti Muse.

27) Qualcosa da non rifare?
Mah... Senza voler essere arrogante, abbiamo trovato la formula giusta...

28) Ogni mattina trova l’adrenalina?
Vietato rimanere nella comfort zone, dico ai colleghi. Ma ora c’è troppo da fare per permettersi cali di tensione.

29) Com’è che si tiene in forma?
«Ogni 10 giorni, la Maranza in bici».

30) La sua viola resta in custodia?
Con mia grande gioia, dopo quasi due anni di Muse, ho ricominciato a suonarla, con l’orchestra degli amici.

31) Qualcosa la fa mai arrabbiare?
Quando non sono capito.

32) Che cosa farà da grande?
Il modo migliore per prevedere il futuro è inventarselo.

33) Urca! Ma Trento ha capito il Muse?
Non poteva capire le dimensioni, ma non le abbiamo capite neanche noi. Io lo sento, l’affetto della mia città.

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