La voglia di ripresa tradita dalle banche

Mancano all'appello i grandi investitori, le banche e le maggiori società finanziarie. Piccoli imprenditori e artigiani gli investimenti li fanno, raschiando il fondo dei loro risparmi. Secondo la Camera di commercio, nel 2012 gli investimenti delle imprese trentine sono diminuiti dell'11%, ma quelli degli artigiani manifatturieri sono cresciuti del 25%I tuoi commenti

di Francesco Terreri

euroSarebbe fin troppo facile descrivere un Natale trentino diviso tra superguadagni in Borsa e lavoratori senza stipendio. Le cose sono più complesse. Ma la Borsa, cioè i capitali, da un lato e il lavoro, cioè le imprese e i loro dipendenti, dall'altro c'entrano con quello che ora diremo. Nella nostra provincia vi sono segnali di ripresa più forti che nel resto d'Italia. L'export è ripartito (+7,5% nel terzo trimestre), trainato dall'industria meccanica e dal distretto del vino. In questi anni di crisi, alimentare e abbigliamento sportivo hanno tenuto. L'edilizia soffre ancora parecchio, ma i contributi pubblici hanno rimesso in moto almeno le ristrutturazioni. Nascono più imprese di quante ne muoiano - e ne muoiono tante - e tra le neonate partono le start up innovative dei giovani. Vi sono indicatori che dicono che c'è domanda di investimenti. Purtroppo, direbbe John Maynard Keynes, non è domanda effettiva, cioè pagante. Perché manca, appunto, chi paga: mancano gli investitori.
 
Per essere esatti mancano all'appello i grandi investitori, le banche e le maggiori società finanziarie. Piccoli imprenditori e artigiani gli investimenti li fanno, raschiando il fondo dei loro risparmi. Secondo la Camera di commercio, nel 2012 gli investimenti delle imprese trentine sono diminuiti dell'11%, ma quelli degli artigiani manifatturieri sono cresciuti del 25%.
 
Perché finanziare gli investimenti è decisivo per la crescita? Oggi tutti sembrano convinti di quello che scriveva Nicholas Kaldor per spiegare la rivoluzione keynesiana: «Le decisioni prioritarie che determinano tutto il resto sono le decisioni di spesa. Sono le decisioni di spesa che determinano la domanda, che a sua volta determina il livello dell'attività economica e il reddito». La spesa, cioè la domanda effettiva, comprende diverse componenti: i consumi, gli investimenti, la spesa pubblica, le esportazioni cioè la spesa dei residenti in altri Paesi. In Trentino gli acquisti di beni di consumo si attestano intorno a 10 miliardi di euro l'anno, gli acquisti di beni di investimento a 4 miliardi, la spesa della pubblica amministrazione a 4 miliardi, le esportazioni a 3 miliardi. Questi 21 miliardi di spesa sono soddisfatti per 16 miliardi da prodotti e servizi trentini (il Pil provinciale) e per il resto da prodotti e servizi del resto d'Italia e dell'estero (importazioni).
 
Tuttavia non tutte le voci di spesa sono uguali. È opinione diffusa, a prima vista molto ragionevole, che la misura principale da prendere per far ripartire l'economia sia una qualche forma di sostegno al potere d'acquisto delle famiglie (abolizione dell'Imu sulla prima casa, riduzione delle tasse sul lavoro, incentivi di vario genere) per incrementare i consumi. Che si debba allentare la morsa sui redditi di gran parte delle famiglie è sacrosanto. Che questo rilanci l'economia è dubbio. Perché i consumi dipendono dal reddito e senza un duraturo e sostanzioso aumento del reddito non è ragionevole che le famiglie si rimettano a spendere.
 
La voce di domanda in questo momento più promettente è l'export: non dipende dal nostro reddito ma da quello degli altri Paesi e in molti Paesi, almeno fuori dall'Europa, il reddito sta crescendo. Le esportazioni possono effettivamente essere un volano della crescita. Ma per ripartire davvero, diceva il vecchio Keynes, serve una voce di domanda che sia sganciata dal reddito corrente, una spesa che metta in moto un moltiplicatore di reddito nel tempo. Questa componente decisiva della spesa si chiama investimenti.
 
In effetti ci sarebbe un'altra voce che è sganciata dal reddito corrente: la spesa pubblica. Anzi, Keynes passa per l'economista che ha consigliato ai governi di spendere per rilanciare l'economia in depressione. Ma anche nella spesa pubblica ci sono consumi e investimenti. E sono questi ultimi la voce veramente capace di mettere in moto il moltiplicatore del reddito. Attenzione quindi a parlare a cuor leggero di tagli alla spesa pubblica: la virtù nei conti pubblici può diventare vizio per l'intera economia. Ma se si deve tagliare la spesa pubblica, sarebbe meglio tagliare la spesa corrente più che quella per investimenti. Salvo, naturalmente, valutare l'effettiva necessità di un'opera.
 
La strada decisiva per uscire dalla crisi è quindi la ripresa degli investimenti. Servono investimenti pubblici, che esprimono i grandi progetti su cui si impegna la comunità per il futuro (se nessuno avesse immaginato il Muse, da tanti classificato come gigantismo, spreco, lusso da vacche grasse, oggi in Trentino non avremmo centinaia di migliaia di turisti culturali). Ma ci sono segnali di una ripresa di investimenti da parte delle imprese: le aziende trentine hanno ricominciato a comprare macchinari dall'estero, gli artigiani messi in difficoltà dai concordati «furbetti» difendono con orgoglio la qualità dei lavori che hanno eseguito e, se fossero pagati, investirebbero per farne ancora di migliori.
 
E i giovani? Alcuni giorni fa 21 nuove imprese di giovani sostenute da Trento Rise e Trentino Sviluppo hanno presentato al teatro Cuminetti a Trento i loro progetti a cinquanta potenziali investitori. Di investitori trentini c'era solo l'Associazione Business Angels. Nessun altro.
Eccoci al punto. In Trentino i detentori di capitale, banche e società finanziarie, hanno smesso da un pezzo di finanziare investimenti. Per citare un solo dato, tra metà 2012 e metà 2013 i finanziamenti bancari agli investimenti produttivi, cioè all'acquisto di macchinari e attrezzature, sono calati del 12% in termini di consistenze e del 69%, due terzi in meno, in termini di erogazioni. Gli istituti di credito si giustificano con il fatto che «il cavallo non beve», cioè è la domanda delle imprese a essere debole, e che bisogna essere prudenti perché le sofferenze e il rischio sono aumentati in maniera esponenziale.
 
Quanto ai grandi investitori, l'Isa e la Finanziaria Trentina, le due maggiori società di investimento del nostro territorio, si segnalano quest'anno solo per aver messo 200 mila euro ciascuna nella società che sta sviluppando il progetto delle mele in grotta. Trentino Invest, che riunisce tre corazzate come Isa, Finanziaria Trentina e Finanziaria della Cooperazione, ha fatto in un anno un solo investimento da 150 mila euro.
 
Possiamo dire, però, che tutte queste cautele, questa ragionevole prudenza non si è vista in altre operazioni di questi anni? Non era l'Isa quella che ha investito - nel 2010, non il secolo scorso - 7 milioni nella società degli immobiliaristi trentini che ha rilevato gli alberghi ex Cit, uno degli scandali delle dismissioni pubbliche nazionali? Per poi uscirne un anno dopo con un guadagno del 10%? Non era la Finanziaria Trentina quella che, insieme ad altre banche e finanziarie regionali, ha promosso Raetia sgr e i suoi fondi immobiliari, che hanno realizzato pochissimo e ora sono finiti in un crac da centinaia di milioni di euro e dai risvolti penali? Non era la Finanziaria della Cooperazione ad aver messo sul piatto più di 10 milioni di euro per rilevare Funivie Folgarida Marilleva e salvare i conti delle Casse rurali creditrici?
 
E gli istituti di credito, banche nazionali, regionali, Casse rurali? Non ci riferiamo qui al finanziamento di progetti come Le Albere o magari Corti Fiorite, dove almeno qualcosa è stato realizzato. Parliamo dei «buchi», non solo finanziari. Tanto per citarne qualcuno, in ordine sparso e di valore crescente: 25 milioni di euro di prestiti nella ex Frizzera, un'area che col tempo si è solo degradata (e non contiamo i soldi messi nelle altre avventure di Raetia), 30 milioni di euro nella ex Italcementi, solo ora in via di bonifica, 40 milioni di euro nel progetto ex Umberto I a Mestre, che ora la gestione di Marcello Carli nel migliore dei casi cederà ad un altro operatore. E poi l'affare più grande di tutti: i 140 milioni di euro, che diventano 200 con tutte le società annesse e connesse, messi dalle banche per comprare e vendere i terreni di Aeroterminal Venezia in riva alla laguna. Senza realizzare neanche una stradina di accesso.
 
Banche e grandi finanziarie trentine stanno facendo pagare a piccole imprese, lavoratori e comunità i grandi ed equivoci affari in cui si sono lanciate negli anni scorsi. È il momento di voltare pagina. Va bene la severa istruttoria sulle richieste di credito. Va bene la prudenza sul rischio. Ma decidetevi ad affiancare le imprese, le cooperative, i lavoratori con il loro risparmio, i pochi enti che si stanno muovendo, i Confidi, i fondi pensione dei lavoratori, nel sostenere i germogli di ripresa. Il rischio più grosso non è quello che correte investendo su un artigiano o su un giovane neoimprenditore: è quello di soffocare in culla la voglia di riscatto di tanta gente trentina.

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