Giustizia / Il caso

«Ha violentato l'inquilina»: Trento, un uomo condannato a sei anni di carcere

Un trentenne, ora residente in Ucraina, dovrà pagare anche un risarcimento di 50 mila euro alla quarantenne che nel 2019 aveva preso in affitto una stanza nell'appartamento in cui lui viveva assieme al padre. Anche quest'ultimo è stato coinvolto nel procedimento, in relazione a una successiva lite con la donna, e condannato a 9 mesi per violenza privata e di lesioni

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di Marica Vigano'

TRENTO. È stato condannato a sei anni di carcere e ad un risarcimento di 50mila euro l'uomo accusato di aver violentato la donna che aveva preso in affitto una stanza nell'appartamento in cui lui viveva assieme al padre.

Lo stesso genitore, a cui sono stati contestati i reati di violenza privata e di lesioni, è stato coinvolto nel procedimento: per lui 9 mesi e 3.500 euro di risarcimento (provvisionale immediatamente esecutiva come per il figlio) a favore della vittima.

Questa la decisione del collegio giudicante - presidente Enrico Borrelli, a latere i giudici Massimo Rigon e Niccolò Cogliati Dezza - in merito alla drammatica vicenda accaduta cinque anni fa e denunciata da una quarantenne trentina. La vittima, sentita in aula la scorsa udienza, non era riuscita a trattenere le lacrime ripercorrendo i terribili momenti della violenza.

L'uomo accusato di aver abusato di lei, trentenne, figlio del proprietario di casa, ieri è stato sentito a spontanee dichiarazioni in videocollegamento dall'Ucraina, suo Paese natìo, dove è tornato da alcuni anni per un nuovo progetto di vita.

Impossibilitato a tornare in Italia in quanto allo scoppio della guerra gli sarebbe stato sospeso il passaporto, ha ribadito ciò che aveva sostenuto anche nella memoria presentata attraverso il suo avvocato, ossia che non c'era stata violenza, perché il rapporto era consenziente.

Di diverso avviso i giudici, che hanno accolto la tesi della procura e sono stati ancor più severi delle richieste della pm Antonella Nazzaro (condanna a 5 anni per il trentenne).

La difesa - l'avvocato Matteo Benvegnù sia per il figlio che per il padre - attende il deposito della sentenza previsto in 90 giorni per poi valutare il ricorso in appello.

Gli episodi contestati risalgono al 2019. La vittima, che per motivi di lavoro aveva necessità di trovare un alloggio a Trento, aveva trovato una soluzione temporanea prendendo in affitto una stanza all'interno dell'appartamento in cui abitavano i due imputati.

Una convivenza durata pochi mesi, fino al giorno in cui lei si è ritrovata sola con il figlio del proprietario di casa: la vittima ha raccontato che il giovane era entrato nella sua stanza con la scusa di un chiederle il favore di massaggiargli la schiena, perché sosteneva di sentire male. Ma era solo una scusa: si era avvicinato a lei, l'aveva afferrata e poi gettata sul letto. Alle forze dell'ordine la vittima aveva raccontato che il trentenne quel giorno di luglio 2019 aveva bevuto troppo. Particolare che non è certo una scusante per l'imputato.

La vicenda è complessa e assai delicata. Dopo la violenza, la donna, che già stava affrontando un momento difficile della sua vita, se ne era andata via da quella casa, scioccata al punto da non trovare la forza per denunciare il giovane.

Un paio di settimane dopo era tornata nell'appartamento per riprendere i vestiti e tutto ciò che aveva lasciato nella stanza. A quel punto era scoppiato un diverbio con il padrone di casa per motivi legati al pagamento dell'affitto. Circostanza, questa, che ha portato in tribunale anche il padre del trentenne imputato di violenza. I toni della lite si sarebbero alzati al punto che entrambe le parti avevano chiesto l'intervento della polizia.

La donna aveva raccontato agli agenti di essere stata spintonata e che, nel tentativo dell'uomo di chiudere la porta per impedirle di lasciare la casa, era stata colpita alla gamba.

La decisione di denunciare tutto, sia la lite che la violenza sessuale subìta qualche giorno prima, era maturata solo dopo la medicazione al pronto soccorso per la contusione alla gamba (sette giorni di prognosi).

A processo sono dunque finiti sia il figlio che il padre: il primo per violenza sessuale, il secondo per violenza privata e lesioni. Ieri è arrivata la condanna per entrambi.

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