Anziani / I servizi

Dopo il Not, il Santa Chiara come Rsa? La proposta di Ianeselli, i dubbi di Chiogna: «Non basta»

Il dibattito sul futuro dell’ospedale di Trento, una volta che verrà costruito quello nuovo al Mas Desert. La presidente Upipa: «Non colmerebbe nemmeno i bisogni che abbiamo oggi»

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di Andrea Orsolin

TRENTO. Per il sindaco di Trento Franco Ianeselli è un'ipotesi auspicabile, per il presidente della Provincia Maurizio Fugatti, invece, un qualcosa con il quale andarci molto cauti. Per Michela Chiogna, presidente di Upipa (Unione Provinciale Istituzioni Per l'Assistenza), è un'opzione da tenere sicuramente in considerazione, poiché potrebbe dare una prima soluzione (non certo "La" soluzione) al futuro delle case di riposo.

Stiamo parlando della possibilità di fare dell'Ospedale Santa Chiara una rsa, quando finalmente sarà costruito il nuovo polo ospedaliero universitario del Trentino in via al Desert. Ianeselli ritiene ottimale la collocazione dell'attuale nosocomio, mentre Fugatti, più scettico, ha posto l'attenzione sui costi di gestione e alla necessità di potenziare piuttosto i servizi domiciliari.

E la presidente della società cooperativa che coordina e rappresenta la maggior parte delle case di riposo del Trentino, cosa ne pensa? «È un'opportunità che dobbiamo assolutamente tenere in considerazione, visto che l'aumento dei posti nelle case di riposo è un aspetto da considerare nel futuro, consapevoli però che potremo costruire tutte le strutture del mondo ma i nostri problemi non verrebbero risolti immediatamente».

Perché per costruire una rsa ci vuole del tempo, ma l'esigenza c'è già ora.

«Esatto. Il fabbisogno è così alto che nemmeno volendo riusciremo a dare una risposta immediata solamente aprendo cantieri. La pressione che abbiamo è altissima, il bisogno c'è oggi: non possiamo rispondere a questa esigenza solo costruendo nuove strutture, arriveremo tardi. Questo non vuole ovviamente dire che non si faranno più altre strutture: nella nostra programmazione serve tenere conto anche dell'incremento dei posti. Ma fino a che punto riusciremo ad ospitare con questi standard?»

In che senso? «Oggi la gravità dei pazienti che prendiamo in carico è sempre più in aumento: non siamo distanti dalla gestione che ha un reparto geriatrico di un ospedale. Il tema delle demenze è un problema con cui abbiamo sempre più a che fare, non sono quelle legate all'età anziana, ma anche quelle giovanili. Però le nostre strutture non sono pensate per fare questo».

Lo sarebbero gli ospedali. E la nuova struttura al via Desert potrebbe rappresentare una possibile soluzione.

«È bene creare un ponte tra l'Azienda sanitaria e le rsa, che prevede una gestione condivisa dei pazienti: coloro che non possono essere presi in carico dalla rsa, se li prendono l'ospedale. Chiediamoci come vogliamo concepire il nuovo ospedale: aperto e a sostegno alle rsa? Oppure no? Avremo il piacere di essere coinvolti in questo dibattito».

Oltre a questo, da cosa passa il futuro delle case di riposo?

«Dobbiamo fornire servizi territoriali, portare la nostra competenza sul territorio».

Torniamo alla destinazione del Santa Chiara, una volta che non sarà più ospedale. Lei è un'ingegnera: dal punto di vista strutturale il cambio di destinazione sarebbe possibile?

«C'è già una distinzione in stanze, che sono servite da corridoi. La base c'è, con piccole modifiche il Santa Chiara potrebbe diventare una casa di riposo. Almeno in parte, con volumi più piccoli. Che cosa ne facciamo, altrimenti?»

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