Sanità / Persone

In pensione il dottor Ramponi, dal 1990 al Santa Chiara a capo del pronto soccorso

Un po’ di riposo, poi lavorerà nella sanità privata. Non poteva restare? «Dopo la condanna della Corte dei conti per aver fatto troppi straordinari, non mi sono sentito appoggiato dall’Azienda»

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di Patrizia Todesco

TRENTO. Dall’1 gennaio  il dottor Claudio Ramponi è ufficialmente in pensione. Per lui è arrivato il momento di salutare l'Azienda sanitaria per cui ha iniziato a lavorare nel dicembre del 1990, prima come assistente medico presso l'Unità operativa di Medicina interna, poi presso l'Unità operativa di pneumologia nel 1996, dal 2008 come primario del Pronto Soccorso di Trento e dal 2021 nella funzione di Direttore del Dipartimento Emergenza.

Dunque dottor Ramponi, va in pensione con quanti anni di servizio?

Con oltre 43 anni di contributi versati.

Ma lei è giovane, avrebbe anche potuto rimanere.

Si avrei potuto rimanere ancora qualche anno, fino a 67 anni.

Però ha deciso di andarsene, come mai?

Le motivazioni sono di varia natura: l'essere stato bersaglio di prese di posizione acritiche ed immotivate, attraverso interrogazioni presentate in Consiglio provinciale da parte di una forza politica e soprattutto la vicenda della condanna pronunciata dalla Giustizia Contabile senza prendere in alcuna considerazione le motivazioni relative agli addebiti contestati.

La condanna della Corte dei conti, nonostante la solidarietà che ha ricevuto dai colleghi, è evidente che le ha fatto e le fa tutt'ora male.

Certamente ha lasciato un solco profondo nella mia coscienza e nella mia vita personale e professionale. L'unica responsabilità addebitatami è quella di essermi fatto carico di un significativo numero di turni di pronta disponibilità: una volta per tutte vorrei fosse chiaro che tale comportamento ha avuto come motivazione la cronica carenza di medici e come obiettivo quello di diminuire la pressione, divenuta ormai insostenibile sui medici miei collaboratori. L'attività di Pronto Soccorso deve essere garantita ad ogni costo con modalità e strumenti anche innovativi. Oggi c'è il ricorso, per coprire i turni, a medici specializzandi e/o a medici gettonisti, quale conseguenza inevitabile del fatto che i concorsi vanno sistematicamente deserti e sul mercato sanitario non ci sono specialisti in Medicina d'Urgenza.

Ritiene che negli ultimi anni la qualità offerta in Pronto soccorso a causa della mancanza di professionisti e del ricorso a specializzandi e gettonisti sia calata?

La qualità rimane sempre altissima, perché un gettonista o specializzando non viene immediatamente dedicato alla gestione dei codici più critici: inizia con i codici minori e poi, con il tempo, se dimostra qualità professionale può arrivare a gestire anche i codici rossi; in Pronto Soccorso, ad esempio, c'è un medico proveniente dal Camerun che ha iniziato la propria attività seguendo i codici meno critici e piano piano, frequentando il reparto anche nelle ore libere, è stato inserito nei turni dei codici rossi.

Dottor Ramponi, e ora cosa farà in pensione?

Mi lasci dire che io sono innamorato della mia professione, l'ho sempre vista, interpretata e vissuta come una missione regolata non da orari, compensi ma dall'attenzione e disponibilità totale nei confronti del paziente in stato di bisogno. Chiusa l'esperienza con il pubblico, dopo un periodo di riposo e di stacco dall'attività, penso di dare una risposta positiva alle richieste, alle sollecitazioni che continuamente mi pervengono dal comparto della sanità privata, risposta compatibile peraltro con una delle tre specializzazioni di cui sono in possesso.

Di lei si dice che arrivava sempre prestissimo in ospedale? Conferma?

Vero. Arrivavo verso le 5 del mattino per andarmene nel pomeriggio tra le 16 e le 18. Tra le 5 e le 8 del mattino riuscivo a fare una serie di attività che richiedevano la massima attenzione e quindi era ideale lavorare senza telefonate o senza che nessuno interrompesse il mio lavoro: lascio l'azienda con circa 16 mila ore di straordinario non pagato, mediamente 800-1.000 all'anno.

Pentito di quanto fatto?

No, nella maniera più assoluta: ho sempre creduto nel lavoro, nel Pronto Soccorso, nella squadra di collaboratori. Non ho rimpianti per l'attività che ho esercitato, rifarei tutto, forse con qualche accorgimento per evitare la condanna della Corte dei Conti.

L'Azienda l'ha sostenuta in quel periodo?

Avrei voluto non mi facesse questa domanda. Mi sono sentito solo, abbandonato dall'Azienda nel momento in cui avvertivo il bisogno di essere difeso, difesa che riguardava non solo la mia persona ma tutto il sistema organizzativo aziendale (ndr, all'epoca la direzione aziendale non era quella attuale, ma la precedente).

Lei da sempre chiede un uso più consapevole del Pronto soccorso, da utilizzare solo in caso di effettiva urgenza e gravità. I suoi appelli sono però caduti nel vuoto e i numeri sono sempre molto alti. Deve registrare una sconfitta su questo fronte?

Non una sconfitta ma un'amara presa d'atto del mancato ascolto da parte dei responsabili sia politici che aziendali teso a far capire che un utilizzo improprio del Ps finisce per penalizzare le vere urgenze.

Adesso è stato pubblicato un piano proprio per la gestione del sovraffollamento in Pronto soccorso. Funzionerà?

L'unica soluzione per ridurre gli accessi è quella di una rivisitazione dell'organizzazione della medicina territoriale in modo che l'afflusso dei pazienti al Ps sia riservato ai pazienti critici.

Parliamo di nuovo ospedale. Siete stati coinvolti nell'indicare i requisiti che dovrà avere il Pronto soccorso nel nuovo ospedale? Avete dato delle indicazioni?

Io ho partecipato ad alcuni incontri su invito dei responsabili dell'Azienda, devo peraltro dire che il Pronto soccorso del S. Chiara non è obsoleto (ristrutturato e riorganizzato nel 2008). Col senno di poi possiamo dire che il problema forse è stato sottostimato senza tener conto delle innovazioni quali il volo notturno dell'elicottero che ha creato significative criticità. Sicuramente dovrà essere previsto un nuovo Pronto soccorso con nuove caratteristiche, con un percorso per pazienti infetti, con spazi adeguati e un'interazione stretta con la Radiologia, la Rianimazione, l'Unità Coronarica e la Stroke Unit.

Se pensa ad un evento, un fatto di cronaca, una tragedia che in questi anni vi ha messo davvero a dura prova cosa le viene in mente?

Ce ne sono tanti. Forse il carro di Carnevale rovesciato a Bosentino nel febbraio 2017 e poi l'emergenza Covid quando in un pomeriggio abbiamo dovuto rivoluzionare il reparto includendo le stanze del vecchio Ps per accogliere i pazienti sospetti Covid. È stato un lavoro di squadra eccezionale ma la mia fortuna, in questi anni, è stata quella di aver potuto contare su coordinatori di assoluta preparazione professionale e disponibilità personale ai quali va il mio pensiero riconoscente e in tal contesto una menzione particolare va al dottor Nicola Ricci persona di altissimo valore morale organizzativo a cui va riconosciuto il merito di aver portato il Ps ai livelli di eccellenza attuali.

Il mio grazie più sincero e cordiale va a tutto il personale, ai colleghi medici, agli infermieri, agli Oss ai caposala: senza timore di smentita ritengo di poter affermare che non avremmo ottenuto i risultati che abbiamo raggiunto senza il loro impegno, entusiasmo e dedizione. La squadra è stato un elemento vincente nella convinzione che un uomo solo al comando non può garantire l'efficienza e l'efficacia di un lavoro condiviso.

 

 

 

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