Sanità / L’intervista

Il medico: “Ingestibili 1.800 pazienti, siamo stanchi. Amo il mio lavoro, ma tra due anni andrò in pensione”

Il professionista, da 33 anni operativo nel quartiere di Cristo Re, analizza la situazione di difficoltà del settore: “Aumentare i pazienti e l’età pensionabile non è efficace. I giovani? Per loro è dura” 

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APSS Sempre più medici e infermieri scelgono di andarsene

di Matteo Lunelli

TRENTO. «La situazione è abbastanza tragica». Questa, con un sospiro, è la frase che il dottor Maurizio Zeni ci dice quando gli chiediamo un commento, un'analisi, una riflessione in merito alla situazione dei medici di medicina generale in Trentino. Se ne parla da settimane, mesi e anni, ma una soluzione definitiva appare lontana. In Trentino ci sono 24 zone carenti, c'è un bando straordinario e ci sono dimissioni di professionisti che non ce la fanno più. L'Azienda sanitaria sta provando a mettere in campo alcune soluzioni tampone, che però piacciono poco all'Ordine dei medici, che con il presidente Marco Ioppi ha sottolineato l'importanza di agire in nome della qualità, non della quantità. Tornando al dottor Zeni, si tratta di un medico molto conosciuto e stimato in città, operativo da ben 33 anni in zona Cristo Re, uno dei quartieri più popolari e popolosi di Trento. Ha vissuto l'evoluzione e le difficoltà del suo mestiere e, anche se ci sono colleghi più anziani, può essere considerato uno dei "decani".
Dottore, dopo aver letto il giornale, con la fotografia della situazione, le soluzioni e le dichiarazioni della giovane dottoressa che si è dimessa, cosa ha pensato?
Che il nostro lavoro è sempre più complicato, che è molto cambiato negli ultimi anni e che ha ragione il presidente Ioppi: bisogna lavorare di qualità. Non ho la bacchetta magica e non saprei come si possono risolvere le difficoltà, ma le soluzioni in atto non mi sembrano efficaci.
Si parla del bando straordinario, dell'alzare (volontariamente) il massimale da 1.500 a 1.800 assistiti e di lavorare (volontariamente) fino a 72 anni.
Io ne ho 68 di anni: lavorerò per altri due e poi me ne andrò. Andare avanti fino a 72 anni mi sembra piuttosto allucinante. E salire a 1.800 assistiti è una follia e mi spaventa, perché è evidente che va a discapito della qualità del lavoro. Personalmente, da vecchio del mestiere, da allievo della scuola di Verona, dico che mi piace visitare i pazienti, "palpare" la pancia, misurare la pressione e auscultare con lo stetoscopio: con i numeri che salgono tutto questo diventa improponibile.
I giovani vengono subito "gettati nella mischia", con centinaia di pazienti.
Io sono partito con 0 pazienti, ho imparato giorno dopo giorno e poi sono salito gradualmente con i numeri. Sulle zone carenti il bando risolverà la situazione? Vediamo in quanti si presenteranno. Certamente si può già dire che una volta la nostra era una professione ambita, ora è tutto cambiato.
Ma perché si sono create queste difficoltà?
Certamente il numero chiuso ha influito e certamente una serie di situazioni hanno contribuito. Non c'è un solo motivo, è un insieme di aspetti. Tra questi anche il fatto che i pazienti sono sempre meno... pazienti.
E sempre più esigenti: tutto e subito, o no?
Esatto, e aggiungerei che ora leggono tutto e il contrario di tutto su Google e poi noi medici dobbiamo intervenire per spiegare. Ricordo la frase che mi disse il mio predecessore quando ero un giovane medico alle prime armi: "è più difficile educare i pazienti che curarli". Il problema è che leggono, poi ci chiamano e magari vanno in Pronto soccorso per ogni banalità: un cane che si morde la coda.
Tra voi medici di famiglia c'è chi, esasperato, molla.
È comprensibile perché i carichi sono enormi. Io esco di casa poco dopo le 7 e prima delle 18 non rientro. Ho 1.560 pazienti e sono tantissimi. E poi c'è un carico burocratico spaventoso. Poi ci sono le cure palliative, che è un servizio bellissimo ma implica ulteriori impegni che non possono essere rinviati. Devo ammettere che ho una bravissima segretaria e che facendo rete con sette/otto colleghi si riesce a "salvarsi". Ma alla base di tutto, per me personalmente, c'è il fatto che questo lavoro mi piace. Mi piace molto nonostante tutti i problemi.
Tra le ipotesi del recente passato per migliorare la situazione alcune sono "morte".
Si riferisce alle Aggregazioni Funzionali Territoriali? Quella era la strada giusta. Credo che l'ex direttore Paolo Bordon fosse in gamba, quella era un'idea che migliorava il servizio. Poi ci furono problemi sindacali e lui se ne andò. Peccato.

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