Economia / Lavoro

Il circolo vizioso del terzo settore trentino: «Salari bassi e flessibilità»

Intervista con Roberta Piersanti della funzione pubblica Cgil: «Da un lato, ci sono difficoltà interne alle cooperative; dall’altro, problematiche esterne nel momento in cui negli appalti pubblici, anche nel sociale, viene ancora dato peso alla componente economica»

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di Domenico Sartori

TRENTO. «È un circolo vizioso» dice Roberta Piersanti (foto) «il risultato del combinato disposto di responsabilità gestionali delle cooperative e del ruolo della Provincia: il rischio vero, però, è che le conseguenze alla fine le paghino sempre i lavoratori». La preoccupazione, ora, riguarda la cooperativa La Sfera di Trento della quale la giunta provinciale, su richiesta della Federazione trentina della cooperazione, ha revocato il consiglio di amministrazione, affidando la gestione ad un commissario, Franco Sebastiani.

Ma ad essere in affanno, spiega Piersanti, della funzione pubblica della Cgil del Trentino, è l’intero terzo settore, tra contratti che non si rinnovano, paghe ridotte al minimo e orari flessibili al massimo.

«Nel caso de La Sfera, che fino ad un anno fa seguivamo perché aveva il contratto delle sociali, emergono problemi di organizzazione e gestione, che il periodo di affiancamento del cda, non definitivamente risolto. Ma il quadro del comparto del terzo settore, che coinvolge circa 4 mila addetti, è più complesso».

Cosa intende per “complesso”?

«Da un lato, ci sono difficoltà interne alle cooperative; dall’altro, ci sono difficoltà esterne nel momento in cui negli appalti pubblici, anche nel sociale, viene ancora dato peso alla componente economica».

Ma il massimo ribasso non esiste più...

«Vero. Ma il problema è che le cooperative che operano sul territorio hanno un livello qualitativo assodato, buono, per cui l’offerta tecnica, che si fonda sul numero degli addetti e la organizzazione strutturata, è un nucleo base. Introdurre però anche la variabile prezzo negli appalti per il sociale sconvolge tutto. Per ridurre i costi, o le cooperative fanno economie, o riducono i costi del lavoro».

Anche per questo il comparto è in affanno?

«Sì. Contratti a termine, contratti a part time, orari spezzettati... Se l’ente pubblico ti chiede di concentrare l’assistenza domiciliare dalle 8 alle 9, la cooperativa deve avere tanto personale con orario ridotto al minimo. C’è un sacco di lavoro povero. Alla prima occasione, uno scappa. In maggioranza, sono donne, soprattutto in ambito educativo e assistenziale».

Qual è la percentuale del part time?

«È elevatissima. Ci sono cooperative che non hanno contratti a tempo pieno. Nell’assistenza domiciliare, saranno una decina i contratti full time. Nella scuola, non esistono assistenti educatori a tempo pieno».

E il livello della busta paga?

«Nel terzo settore, è mediamente basso: la differenza, in negativo, è notevole rispetto ai contratti pubblici. Una oss (operatrice socio sanitaria, ndr) in cooperativa guadagna meno sia rispetto a chi è nel pubblico, sia a chi è nella sanità privata. E per gli educatori c’è il problema del sotto inquadramento. C’è voluto un giudice per affermare che anche chi ha la laurea può fare l’educatrice. A breve, con la Cisl, riuniremo in assemblea le educatrici dei nidi».

Chiamate in causa l’ente pubblico?

«Sì, il problema è che esternalizza i servizi, calcola il costo corretto del lavoro, ma poi non controlla, non vigila. Il giudice Flaim ha attestato che la cooperativa del Muse non pagava il dovuto ai lavoratori. Ma il Muse non si è mosso, non ha neanche minacciato la revoca dell’appalto. La Mimosa aveva in carico i lavoratori del Muse, e li pagava troppo poco...».

È fallita lo stesso, però.

«Certo, è il problema della gestione interna di cui ho detto».

E quindi c’è una responsabilità anche del datore di lavoro cooperativa...

«È evidente. Da anni chiediamo il rinnovo del contratto integrativo delle cooperative sociali, fermo al 2006. Inutilmente. Di recente, assieme alla Cisl, abbiamo chiesto di aggiornare almeno i rimborsi chilometrici: sono ancora quelli del 2002! E per chi fa assistenza domiciliare o l’educatore e usa l’auto, il caro benzina è un problema in più... Nessuna risposta. Non hanno nemmeno i buoni pasto. Ci sono assistenti domiciliari o educatori che si mangiano il panino in macchina, al freddo, perché non possono permettersi il bar! Ma ripeto: c’è anche una corresponsabilità dell’ente pubblico. Il risultato è che nel terzo settore, in Trentino, c’è una flessibilità estrema che non ha uguali in altri comparti. Ci sono anche casi, nell’assistenza domiciliare, di contratti di 6 ore al giorno con la cooperativa che però chiede la disponibilità H24, disattendendo la legge».

La co-progettazione, in luogo dell’appalto tradizionale, può essere la risposta?

«Sì, senza dubbio. E qualcosa si muove. Ma se nel bilancio della Provincia non c’è un euro in più per il terzo settore, in un momento in cui la popolazione invecchia e crescono i bisogni di assistenza, tutto si fa più difficile. Vista la situazione, visto il mancato rinnovo del contratto, non ci resta che avviare la mobilitazione. Siamo pronti».

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