Economia / L’intervista

Luci e ombre dell’occupazione trentina dopo la pandemia: “L’impiego futuro? Green e digitale”

Parla Riccardo Salomone (Agenzia del lavoro): “Mancano sia la domanda che l'offerta delle competenze molto qualificate. Gli studenti veneti e lombardi che studiano a Trento, poi lasciano il Trentino. E personale molto qualificato non arriva da fuori”

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di Daniele Benfanti

TRENTO. Lo scenario lavorativo in Trentino, tra convivenza con la pandemia e prima dello scoppio della guerra in Ucraina, ha mostrato confortanti segnali di ripresa. Una forte ripresa. Nel 2021 in Provincia di Trento ci sono state 33.000 assunzioni, vale a dire il 26% in più rispetto al 2020 massicciamente colpito da pandemia e lockdown.

Ma anche se si paragona il 2021 al 2019, ultimo anno pre-pandemico, l'incremento è di oltre mille unità, vale a dire di un aumento percentuale dello 0,7. E gennaio 2022 ha fatto registrare il 60% di assunzioni in più rispetto a gennaio 2021, come dimostrano i dati dell'Agenzia del Lavoro, presieduta dal professor Riccardo Salomone, docente universitario di diritto del lavoro all'Università di Trento.

Professor Salomone, ora ci sono le incognite della guerra in Europa e della crisi energetica e delle materie prime a gravare sulle nostre imprese, ma - per quanto riguarda l'occupazione - la ripresa post-pandemica positiva si può dire che c'è stata…

Il 2021 è stato un anno di ripresa, dopo lo stallo del 2020 in tutti i settori. Anche il blocco dei licenziamenti aveva funzionato. Il Trentino, come sempre, ha fatto anche un po' meglio della media nazionale. Merito delle molte misure e risorse provinciali che si sono aggiunte a quelle statali. Sostegni a persone, imprese, anche lavoratori autonomi. Certo, qualche criticità non è mancata, sia nel profit che nel no-profit.

Dal vostro osservatorio, qual è il polso della situazione rispetto alla disoccupazione?

Sono calati sia gli inoccupati che i disoccupati. Nei nostri uffici raccogliamo le dichiarazioni di disponibilità immediata e stipuliamo i patti di servizio personalizzati. Sono calati entrambi, l'anno scorso. Questi ultimi si sono quasi dimezzati: da 14.000 del 2020 a 7.500. Dai colloqui possiamo dire di avere circa 18.000 disoccupati in Trentino.

Resta il tema della difficoltà a reperire manodopera nel turismo e in edilizia.

Sono i due settori con più offerta di lavoro. C'entra la pandemia, che ha dirottato molti lavoratori verso comparti più stabili, c'entrano i decreti flussi che hanno ridotto la disponibilità di manodopera straniera. Insomma, un mix di fragilità retributiva e occupazionale, questioni tecniche e politiche migratorie.

Molti albergatori e imprenditori dell'accoglienza puntano il dito contro il reddito di cittadinanza…

In Trentino non ha grossi numeri e i nostri dati ci confermano che chi percepisce quel reddito o l'assegno unico provinciale è comunque a distanza siderale dal mondo del lavoro e spesso anche dalla società. È un target poco attivabile rapidamente con politiche del lavoro attive.

I sindacati, dal canto loro, ripetono spesso che anche nella ripresa manca il «lavoro buono».

Certo, se per lavoro buono intendiamo quello ben pagato, con tutte le tutele, a tempo indeterminato, è vero. I sindacati hanno ragione a vedere nel primo maggio la festa del lavoro di qualità, protetto. Ma lavoro buono è anche quello che corrisponde ai propri desideri e alle proprie competenze. In Trentino abbiamo un problema.

Quale? A proposito di competenze?

Esatto. Siamo in difficoltà a crearle e a trattenerle. Mancano sia la domanda che l'offerta delle competenze molto qualificate. Gli studenti veneti e lombardi che studiano a Trento, poi lasciano il Trentino. E personale molto qualificato non arriva da fuori.

Dov'è l'errore?

Nella mancanza di coordinamento. Nonostante i buoni propositi, in Trentino non si è riusciti a mettere insieme pubblico e privato o reti di privati per definire i fabbisogni e provvedere all'adeguata formazione per far crescere le competenze e trattenerle. Mancano ancora le sinergie necessarie. E formazione, istruzione e lavoro sono ancora troppo separati o questioni trattate verticalmente.

I Neet, i giovani che non studiano, non lavorano, non si formano, in Trentino sono sempre una percentuale limitata?

Abbiamo valori dell'8-9%, rispetto al 30% delle regioni del Sud Italia. Ma è un dato da non sottovalutare. Si può fare di più con percorsi per evitare il drop out e la dispersione scolastica.E il cosiddetto fenomeno delle «grandi dimissioni» esploso con la pandemia, che fa rinunciare al lavoro anche chi ha un posto sicuro e ben retribuito?Anche in questo caso non ha numeri consistenti, ma esiste anche da noi e va tenuto d'occhio. Per i policy maker non è positivo, perché cala la produttività. Per chi fa questa scelta, evidentemente il tempo libero assume un ruolo prioritario.

Quali sono i settori che garantiscono maggiori sbocchi professionali in futuro?

Ecco, edilizia e turismo sono in difficoltà in questo momento, ma ragionando sui prossimi 10-15 anni direi il green e le tecnologie digitali.

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