Sanità / Lo studio

Medici: è fuga dagli ospedali. Tre su quattro pronti a lasciare per andare nel privato oppure all’estero

I dati - inquietanti - emergono da uno studio del Cimo Fesmed, il sindacato dei medici, e riguardano il Trentino. Nella distribuzione quotidiana del lavoro i dottori dichiarano di impiegare il 70% del tempo ad atti amministrativi e meno della metà di quella percentuale ad atti medici e ascolto del paziente

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TRENTO. Solo un medico su quattro rifarebbe la scelta di andare a lavorare in ospedale. E uno su tre vorrebbe anticipare il momento della pensione. Ancora: il 78% ha da 10 a più di 100 giorni di ferie non godute e il 59% reputa "alto" il livello di stress psicofisico.

I dati - inquietanti - emergono da uno studio del Cimo Fesmed, il sindacato dei medici, e riguardano il Trentino. Al sondaggio hanno aderito 4.258 medici di tutta Italia ed è stato realizzato per sondare l’umore del personale che lavora in corsia.
 

I numeri della nostra provincia – 153 risposte rappresentano un tasso di adesione all’iniziativa tra i più alti d’Italia - forniscono un identikit poco rassicurante: i nostri medici (almeno quelli che hanno risposto allo studio), sono stanchi, demoralizzati, rassegnati e abbandonati.

«E non dobbiamo necessariamente dire che è sempre colpa dell’emergenza sanitaria: il disagio è diffuso e l’ambiente lavorativo è sempre più difficile», commenta la dottoressa Sonia Brugnara, oncologa e segretaria del Cimo, intervistata su Quotidiano Sanità proprio per analizzare la situazione in Trentino rispetto all’esito del sondaggio nazionale.
 

Tornando ai dati, il 69% degli intervistati trentini se potesse tornare in indietro rifarebbe la scelta di diventare medico, ma solo il 26% resterebbe nel settore pubblico, nel nostro caso quindi dipendente dell’Azienda sanitaria.

E gli altri? Il 29% (rispetto alla media nazionale del 18%) vorrebbe anticipare il momento del pensionamento, il 17% andrebbe a lavorare nel privato, l’8% farebbe libera professione e il 18% andrebbe all’estero. Un medico su quattro, quindi, resterebbe in corsia in ospedale, mentre tre su quattro se ne andrebbero.
 

Un altra voce del sondaggio riguarda l’orario di lavoro che, si sottolinea, da contratto è di 38 ore, mentre oltre le 48 non rispetta la norma europea. In Trentino il 30% dichiara di lavorare oltre le 48 ore, mentre il 63% tra le 38 e le 48 ore. Solo il 9% risponde “fino a 38 ore”.

Ma un altro aspetto sorprende: nella distribuzione quotidiana del lavoro i medici dichiarano di impiegare il 70% del tempo ad atti amministrativi e meno della metà di quella percentuale ad atti medici e ascolto del paziente. Solo il 22% dei dirigenti medici trentini non ha giornate di ferie non godute mentre il 78% ha da 10 a più di 100 giorni di ferie non godute (il 56% tra 11 e 50 giorni).
 

Rispetto ai due anni di pandemia si chiede ai medici da chi abbiano ricevuto supporto nell'affrontare questo periodo difficili. Le risposte: al 65% dai colleghi, al 23% da famiglia e amici e solamente al 6% dalle istituzioni e dalla società.
 

«Si pensa - prosegue Brugnara - che il Trentino, terra di autonomia, abbia le condizioni migliori. Ma dal sondaggio è emerso che la provincia che rappresento ha registrato un quadro a tratti anche peggiore rispetto alla media nazionale. Il disagio è molto alto e il paradosso è che molti vedono come unica soluzione per migliorare la loro condizione quella di licenziarsi e passare alle strutture private».
 

Brugnara, che presenterà la prossima settimana in conferenza stampa tutti i risultati del sondaggio, su Quotidiano Sanità conclude dicendo che «poiché una buona amministrazione non può improvvisare e affidarsi agli oroscopi, è necessario affrontare alla radice i nodi che la pandemia ha fatto venire al pettine in ordine alla carenza ed un disagio lavorativo che da molto tempo avevamo evidenziato in tutte le sedi disponibili, addirittura prima dell’arrivo del Covid. Questi numeri manifestano un sintomo di forte disagio e le istituzioni, se veramente vogliono salvare il salvabile, dovranno intervenire ora e subito».

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