Azienda Sanitaria/ Lo scandalo

La verità di Nava: “Ho detto, se avanzano dosi, chiamo mia moglie, e mi hanno risposto: ok”

Il dirigente che ha fatto vaccinare la moglie: “Sono vittima del fuoco amico, di un delatore”. Ammette la “leggerezza imperdonabile” ma non si licenzia dal lavoro, e parla di “caccia alle streghe mediatica”

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di Matteo Lunelli

TRENTO. «La mia è stata un'imperdonabile leggerezza, me ne assumo la completa responsabilità. Dispiace ci sia andata di mezzo la mia famiglia, in particolare mia moglie, persona che lavora seriamente per la pubblica amministrazione e si spende nel volontariato. E dispiace essere vittima di fuoco amico». Il dottor Enrico Nava racconta della vaccinazione alla moglie (la giudice Chiettini, della Corte Contabile)che non rientrava tra le liste prioritarie. Dottore, ci spieghi cosa è accaduto a inizio anno. Una sera, erano i primissimi giorni del nuovo anno, del tutto casualmente mi sono ritrovato in una riunione nella quale si stavano definendo le liste per le vaccinazioni. Mancavano due o tre nomi all'appello e, quasi per scherzo, ho detto "beh, se manca qualcuno mettete mia moglie". Mi hanno detto "ok, benissimo. Dille che si presenti il giorno 5". E così è stato.

Ma sua moglie non faceva parte delle priorità.

Era un momento particolare: erano arrivate le prime dosi e andavano esaurite velocemente. C'erano solo pochi vaccini e non c'erano regole chiare.

Scusi dottore, ma se lo sappiamo noi lo saprà anche lei: il 2 gennaio il ministero ha pubblicato il piano strategico, nel quale si definivano chiaramente le categorie prioritarie.

Certo, ci mancherebbe: conoscevo bene quella circolare e infatti ho coordinato io in prima persona la campagna vaccinale nelle case di riposo. Ma in quei giorni la situazione era diversa da quella attuale, nessuno si voleva vaccinare, l'organizzazione era in divenire. E la giornata del 5 gennaio era ancora dimostrativa, per sensibilizzare le persone.

Lei non ha alzato il telefono o mandato una email per "imporre", dall'alto della sua carica, la dose? Assolutamente no. Ribadisco, si è trattato di una circostanza casuale e fortuita. Tra l'altro fino a pochi giorni prima anche la categoria del volontariato pareva rientrasse tra quelle prioritarie e mia moglie ne avrebbe fatto parte. Poi il volontariato è stato accantonato. Comunque non ho rubato il vaccino a nessuno, né alle Rsa né a disabili o medici.

Perché venerdì, quando l'abbiamo chiamata, non ci ha spiegato cosa era successo?

Ho preferito trincerarmi, almeno inizialmente, dietro la privacy. Non volevo emergesse una situazione tipo "ecco, un direttore che comanda e altri supinamente eseguono": non è andata così. Io ho un incarico di grande rilevanza, faccio parte delle tre figure che vengono subito dopo il Direttore generale e la mia priorità era tutelare l'Azienda in una fase mediatica di caccia alle streghe.

Venerdì sera si è dimesso, però.

Continuerò certamente a lavorare, ma con senso di responsabilità ho messo a disposizione il mio incarico, senza una formalizzazione o dopo una richiesta. Capivo che la notizia avrebbe dato luogo a discussioni, polemiche, interrogazioni politiche. Sto ricevendo grandi manifestazioni di stima da tutto il mondo socio sanitario. Significa che in questi 33 anni di lavoro qualcosa alle persone l'ho lasciato. Dopo la notizia delle decine di dosi somministrate a inizio marzo al personale amministrativo dell'Azienda sanitaria, adesso questa nuova questione mette in discussione l'organizzazione della nostra sanità. L'Azienda non lo merita, per gli sforzi fatti e per il personale che è sfinito in corsia - sia negli ospedali sia nelle case di riposo - da mesi. E non merita giudizi di sfiducia il Dipartimento prevenzione che organizza la campagna vaccinale. Le faccio il mio esempio: a luglio ho fatto dieci giorni di ferie, i primi e ultimi del 2020. E nel 2021 ancora niente, sempre lavorato ininterrottamente.

Dal suo racconto emerge però come la "superficialità" fosse stata avallata da altre persone. Mi passi il termine, ma dei "complici" ci sono: chi ha dato l'ok?

Allora le dosi di Pfizer in Trentino erano 4.875, consegnate il 30 dicembre, non decine di migliaia. Io non voglio scaricare alcuna responsabilità. Probabilmente la leggerezza è stata di più di una persona, forse sarebbe bastato un "ma no dottore, aspettiamo". Ma la responsabilità è mia. Non voglio passi alcun messaggio di corresponsabilità e non si getti alcuna ombra su nessuno. Si tratta di un mio gesto superficiale legato alla fretta di compilare quella lista. E dell'imperdonabile leggerezza non sarebbe emerso nulla se non fosse stato per il delatore.

Intende l'Adige che ha pubblicato la notizia?

Intendo la persona che conosco, con la quale ho lavorato gomito a gomito senza avere mai problemi e senza mai entrare in contrasto. L'obiettivo era fare male, sono vittima del fuoco amico. Fa male soprattutto per la mia famiglia che immeritatamente è finita nella polemica.

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