Allarme per la protonterapia «100 pazienti all'anno: pochi»

Il primario Maurizio Amichetti: tutto dipende da scelte fatte a Roma

di Sergio Damiani

La sanità trentina possiede una Ferrari, parliamo del Centro di protonterapia, ma la fa viaggiare come fosse una Cinquecento. L’allarme è stato lanciato dal primario Maurizio Amichetti a margine di un convegno iniziato sabato. Il Centro funziona e anche bene, ma viaggia a velocità ridotta. «È un peccato - sottolinea Amichetti - perché sino ad ora i risultati clinici sono stati molto incoraggianti. Anche se è ancora presto per fare bilanci, possiamo dire che la cura è fattibile, la macchina è risultata affidabile e i trattamenti sono stati tollerati molto bene dai 100 pazienti che abbiamo avuto in cura e tra questi ci cono anche una quindicina di pazienti pediatrici. I risultati sono molto incoraggianti, proprio per questo vorremmo che il Centro di protonterapia sia proposto in modo più forte».

Secondo i piani iniziali, il Centro avrebbe potuto trattare fino a 700 pazienti all’anno, lavorando su due camere di trattamento in doppio turno. Al momento, invece, a Trento vengono seguiti un centinaio di malati all’anno.
Perché dopo aver investito tante risorse pubbliche la Ferrari della radioterapia non corre?

La risposta si chiama Lea, cioè i Livelli essenziali di assistenza. Sono infatti anni che il Centro di Protonterapia di Trento, all’avaguardia a livello non solo italiano, cerca di entrare nei Lea in modo che delle cure possano beneficiare pazienti che provenienti da tutta Italia. Questo già succede: già il 75% dei pazienti non sono trentini. Ma l’accesso è comunque molto limitato perché le terapie devono essere di volta in volta autorizzate dalle singole aziende sanitarie che, nelle maggior parte dei casi, le rifiutano.

Purtroppo le notizie che giungono da Roma non sono incoraggianti: «Io ho informazioni personali - premette  Amichetti - che non sono positive. Finalmente si stanno aggiornando le liste dei Lea in cui dovrebbero entrare anche le cure offerte dalla nostra protonterapia. Purtroppo, però, sembra che vengano autorizzate per casi molto limitati per tumori molto rari. Se dovesse essere confermata questa impostazione non potremmo trattare i pazienti pediatrici che invece ne avrebbero grande beneficio».

Si va insomma verso una lunga lista di tumori in cui protonterapia non viene autorizzata, e una molto più breve dove invece i trattamenti saranno concessi.

«Sarebbe una contraddizione assoluta - sottolinea il primario - che va in direzione opposta alla nostra proposta di valutare sulla base del singolo paziente l’utilità della terapia per quel particolare tumore».

Il messaggio lanciato da Amichetti è chiaro: protonterapia ha bisogno di essere sostenuta e lanciata per battere resistenze ministeriali e lobby nazionali. Un messaggio che dovrebbe essere colto dalla politica locale fino ad ora incapace di farsi sentire con forza a Roma.

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